Secondo la teoria di Ramachandran, alcuni circuiti neuronali, specie quelli localizzati nelle aree di confine tra i lobi posteriori della nostra corteccia, hanno la capacità di tradurre una rappresentazione sensoriale in un’altra (ad es. l’aspetto visivo di un oggetto in una rappresentazione acustica). Da ricordare che, tale capacità, è secondaria ai collegamenti sinaptici specifici dei neuroni e non a particolari proprietà biologiche delle cellule nervose in causa. Il giro angolare rappresenta un’area neurale ben preposta alle trasformazioni intersensoriali. Non a caso, anatomicamente e funzionalmente, esso viene considerato un centro di convergenza ed integrazione sensoriale, poichè le informazioni tattili, acustiche e visive, fluiscono insieme per consentire conoscenze di livello superiore ovvero, come le esperiamo. Allo stesso tempo, per Ramaschandran, nel nostro cervello vi sono aree neurali che, grazie all’attivazione incrociata, superano ogni distinzione tra l’aspetto sensoriale e quello motorio, di qualsivoglia esperienza a cui l’uomo viene sottoposto. Grazie a tale organizzazione, programmi preposti al controllo dei muscoli della vocalizzazione, della fonazione e dell’articolazione, ossia preposti al modo umano di muovere labbra, lingua e bocca, vengono a trovarsi intimamente connessi con particolari aree sensoriali del nostro cervello, ad esempio quelle visive del giro fusiforme. Inoltre, sempre secondo gli studi del neuroscienziato californiano, esiste un’attivazione incrociata, oltre che tra aree sensoriali (sinestesia), anche tra aree motorie (sincinesia). Grazie proprio a questa attivazione incrociata tra aree motorie, viene ad essere indotta una correlazione tra gesti della mano e movimenti della lingua e della bocca. Quest’ultima, in effetti, pronuncia suoni che, sincineticamente, imitano i gesti fatti dalla mano ( evolutivamente, i gesti fatti con le mani hanno rappresentato un veicolo comunicativo che ha preceduto il linguaggio verbale).Allo stesso tempo, guardare un bambino piccolo, con scarsa esperienza, utilizzare un paio di forbici per tagliare e contemporaneamente osservare come, inconsapevolmente, apre e chiude le mascelle, è estremamente significativo. D’altronde, nessuno meglio di un napoletano come me, conosce che vi è uno sconfinamento di segnali tra gesti e vocalizzazioni. Non sembra difficile immaginare che il tutto si sia evoluto da un sistema di comunicazione non verbale, rivelatosi estremamente utile ai nostri antenati ominidi, che non potevano esprimersi a voce alta durante la caccia. Dunque, a differenza di quanto sostenuto dagli psicolingusti, il linguaggio appare sempre più come una combinazione fortuita e sinergica di un certo numero di meccanismi neurali, evolutisi all’inizio per altri scopi e , in seguito, assimilati dal nostro modo di verbalizzare. In un’ epoca recente del percorso evolutivo, nel cervello dei nostri antenati più prossimi ( ominidi ), si è sempre più rafforzata una mappatura visivo-uditiva-tattile, capace di garantire un’astrazione cross-modale. Questa mappatura tra aree sensoriali ha rafforzato sempre più le connessioni con le mappe preposte al controllo dei gesti manuali ed a quelle preposte ai primi vocalizzi. La selezione esperienziale ha trovato il modo per rafforzare sempre più le connessioni tra aree motorie, preposte ai gesti manuali, con quelle preposte alla vocalizzazione motoria ( area di Broca), selezionando un nuovo modello di organizzazione neurologica capace di esprimere una particolare PHI.
Altro che modulo del linguaggio !!!
Come la visione viene fuori dall’integrazione di sub modalità sensoriali ricche di informazioni specifiche ( forma , colore, movimento, profondità ), così, il linguaggio si evolve grazie all’integrazione di modalità sensoriali differenti, che convergono in mappe motorie allo stesso tempo connesse tra di loro (sincinesia), proprio per consentire all’organismo la coordinazione di gesti e , dunque, il raggiungimento del fine , nonostante il numero infinito di dati sensoriali in entrata.
Mai come in questo caso (linguaggio ) è utile ricordare a noi stessi che, in biologia, nulla ha senso se non alla luce dell’evoluzione.