Quando nel 1943, Leo Kanner utilizzò il termine autismo, lo fece in quanto, era rimasto, dolorosamente colpito, dal deficit di quei bambini nella relazione. Purtroppo, per il futuro dei soggetti con autismo, interpretò male le cause del deficit. Inoltre, non essendo stato preciso nel definire l’intero quadro clinico, favorì quella enorme, quanto dannosa confusione diagnostica, a cui, gli stessi tentativi del DSM non hanno posto riparo. Tutt’altro!
Dopo più di 70 anni, l’errore di Kanner potrebbe trovare una giustificazione, se non professionale, almeno umana. Non vi è alcun dubbio, siamo creature profondamente sociali. Immediatamente percepiamo le intenzioni sociali che ci circondano. La sopravvivenza della nostra specie è dipesa dalla rapidità di giudizio nel distinguere gli “amici” dai “nemici”. Per tale motivo, i nostri cervelli danno costantemente dei giudizi sociali. La moderna biologia, negli ultimi anni, ha abbandonato il falso dualismo, che mirava a stabilire se tale abilità fosse innata o acquisita, concentrandosi sul tentativo di definire “come si sviluppa” ovvero, quali competenze neurali la garantiscono. Abbiamo appreso che, quando osserviamo volti sorridenti o tristi, automaticamente, con i nostri muscoli facciali “copiamo” le espressioni che guardiamo (le coppie sposate da lungo tempo si assomigliano). Alcuni neuroricercatori hanno invitato dei volontari a guardare facce che mostravano un sorriso o un cipiglio, dopo che, agli stessi era stata iniettata tossina botulinica nei muscoli facciali( nonostante la tossina botulinica sia uno dei più letali veleni conosciuti, alcuni “normotipici”, per motivi estetici, pagano per farsela iniettare). Quando i ricercatori mostravano le facce ai botulinizzati, questi facevano fatica a identificare le emozioni sui volti delle foto. La mancanza di reazione da parte dei loro muscoli facciali compromette la capacità di leggere le espressioni altrui. La faccia quasi immobile, per l’uso di tossina botulinica, rende difficile leggere le espressioni altrui (cognizione). Leggere l’espressione altrui riflette quello che un circuito sensori motorio ha espresso. Quando il nostro interlocutore ci sorride, l’automatico rispecchiamento dei nostri muscoli facciali, fornisce il materiale per consentirci di prevedere cosa l’altro sta provando in quel momento. Un approccio neurobiologico all’autismo non può limitarci alla descrizione del deficit (modello psicologico). Esso richiede un attento esame clinico dei nervi cranici del bambino con autismo.