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Sono,forse parlo

Quando, nel 1992, iniziai la mia nuova avventura professionale occupandomi di autismo, era forte in me la convinzione che non avevo tempo da perdere poichè, la mia impreparazione era abissale. Per tale motivo, non solo cercavo di prestare la massima attenzione nel corso delle visite svolte da Carl Delacato, ma provavo anche a leggere quante più cartelle cliniche possibili, di visite pregresse. Alla pagina 2 di quelle cartelle veniva posta una domanda ai genitori: ” Quale è stato il primo sintomo ad allarmarvi e chi lo ha notato per primo? ” Inutile in questo articolo soffermarsi sul punto che la pediatria , mediamente , arrivava alla diagnosi 18 mesi dopo il primo allarme, ma può essere significativo che, l’allarme avvertito, prevalentemente dai genitori e/o dai nonni, 8 volte su 10, riguardava un aspetto legato allo sviluppo del linguaggio. Tra le note più frequenti vi era scritto : “Chiamato non si gira, non ascolta”, oppure, “Non usa il linguaggio per comunicare “, o ancora, ” Dopo uno sviluppo del linguaggio nella norma ha smesso di parlare “, o, altro ancora.

Quello del linguaggio è l’argomento che ha maggiormente diviso gli accademici dalle famiglie poichè, per i primi l’assenza del linguaggio era da considerare espressione di un severo ritardo mentale, talvolta quasi di assenza della capacità di pensare, mentre per la famiglia, che conosceva benissimo il bambino, giustamente, ciò era inaccettabile.

D’altronde, per la scienza, almeno in quegli anni, la regione preposta alla rappresentazione del significato (semantica) veniva localizzata nel lobo temporale sinistro vicino alla parte posteriore della grande scissura orizzontale al centro del cervello, chiamata area di Wernicke. Un danno a tale livello priva il soggetto della facoltà di comprendere cosa gli viene detto e di dare significato ai suoi discorsi. Mentre, anteriormente si trova l’area di Broca, la cui integrità era ritenuta necessaria al fine di garantire al soggetto di generare frasi anche elaborate, grammaticalmente ineccepibili. Un fascio di connessione (fascicolo arcuato) garantiva il collegamento tra i due moduli. Nell’ultimo ventennio si è visto che, tale interpretazione non è del tutto veritiera e, soprattutto, è insufficiente. Anche se nell’emisfero sinistro ( almeno nei destrimani e in molti mancini) troviamo aree neurali intimamente connesse alla funzione verbale, il linguaggio non può essere considerato appannaggio di una o di poche aree del cervello, nè di un solo emisfero.

Il linguaggio umano è talmente complesso, multidimensionale ed evocativo che, attualmente, chi lo studia , pensa che sia preposto ad esso quasi tutto il cervello , o almeno, enormi porzioni.

Anche quando pronunciamo una singola parola, come ad esempio, “sigaro”, si evoca un’intera serie di associazioni ed emozioni (psicostato). Questo sta a significare che una miriade di aree cerebrali, ricche di informazioni specifiche,anche distanti tra di loro, devono cooperare al fine di integrarsi (neurostato) e fornire al possessore di quel sistema nervoso il concetto di “sigaro”. Non è possibile comprendere il linguaggio e, ancor di più, i deficit del suo sviluppo (possono esprimersi a livello foniatrico e/o motorio, e di questi non tratteremo nei prossimi articoli, oppure a livello fonemico,lessico, semantico, sintattico, fino alla comprensione delle metafore) senza la comprensione che stati distinti dell’elaborazione del linguaggio vengono gestiti da circuiti neurali differenti.. Ognuno di questi circuiti sarà ricco di una sua informazione specifica. Essi andranno ad integrarsi in un grande sistema ampiamenteinterconnesso.La funzione espressa, o psicostato, o livello di sviluppo del linguaggio, sarà coerente con la PHI espressa da quel sistema nervoso.

Non ci resta che vedere da vicino come clinicamente possono esprimersi i disordini dello sviluppo del linguaggio , al fine di comprendere DOVE in quel cervello l’organizzazione neurologica si è alterata.

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