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Una mente nuova

Quando, agli inizi degli anni 90′ del secolo scorso, affascinato da Carl H. Delacato, cominciai ad interessarmi di autismo, il mio primo obiettivo fu quello di comprendere come una disfunzione del S.N.C. potesse provocare il più severo disturbo del comportamento in età evolutiva:l’ autismo.

Per il mio maestro, il danno neurologico, minimo e diffuso, aveva alterato il processo percettivo nei bambini con autismo. Tutto il corredo sintomatologico doveva essere, necessariamente, secondario a tale disfunzione. Infatti, in medicina, quando viene individuata una causa, questa deve spiegare tutti i sintomi presenti, altrimenti, o ci troviamo di fronte ad un soggetto particolarmente “sfortunato” (con più patologie) oppure, la causa da noi individuata non è quella corretta. Il mondo accademico non aveva accettato le idee di Delacato poiché la percezione, come la motricità, veniva considerata funzione neurale bassa, mentre il bambino con autismo manifestava, a loro parere, una compromissione delle funzioni neurali più complesse: non parlava per cui non poteva avere produzione di pensiero simile ai normotipici. Per i cognitivisti, in quegli anni, la disfunzione biologica aveva danneggiato il modulo della “mente”. Abbiamo scritto in precedenza che il cervello è composto da cento miliardi di neuroni, che migrano nelle specifiche aree neurali (visiva, motoria, olfattiva, limbica, tattile, etc.). I processi di moltiplicazione neurale e della loro migrazione sono, in gran parte, regolati  da fattori genetici. Per i sostenitori delle scienze cognitive sembrava scontato affermare che, nei bambini con autismo, un’ anomalia genetica aveva impedito la normale “maturazione del modulo mente”. Le funzioni mentali, in questi bambini, non si sarebbero sviluppate. Poco importava se tale teoria non riuscisse a spiegare alcuni sintomi, particolarmente specifici dell’autismo, quali ad esempio le stereotipie. Un modulo “mente” mal funzionante non  garantiva la consapevolezza che l’altro produce intenzioni. Conseguenzialmente,il bambino autistico non  fissa negli occhi, non  condivide l’attenzione, non sviluppa un linguaggio nè una relazione. Per i cognitivisti, come la visione viene garantita dall’integrazione dei sub-moduli del movimento, del colore e della forma, così la “lettura della mente” viene  garantita dall’integrazione di strutture neurali precablate (contatto visivo, condivisione-attenzione, intuire le intenzioni dell’altro). Ma, al perchè, quel bambino avrebbe camminato sulla punta dei piedi, si sarebbe morso sempre la stessa mano, avrebbe “sfarfallato” per intere giornate, o messo in bocca le proprie feci, non era lecito dare risposte. Sacche di resistenza “dinamiche”, continuavano ad interpretare tali atteggiamenti con ipotesi prive di ogni fondamento scientifico (voler ridurre ogni contatto con la terra, non voler regalare nulla di se stesso all’altro).

Le neuroscienze moderne hanno demolito ogni ipotesi di organizzazione modulare delle funzioni cognitive. Non esiste un modulo della vista, ne dell’udito, ne dei processi decisionali. Come potrebbe esistere un modulo delle “intenzioni”? Le funzioni mentali si edificano nel corso della vita in relazione a come si organizzano i circuiti neurali sottoposti alla selezione esperienziale. Gli studi di Edelman, Kandel, Rita Levi Montalcini, Crick, Changeux, Zeki, Damasio, Gazzaniga e poi Calissano, LeDouxe, Ramachandran ed ancora, Koch e Tononi, hanno dimostrato che: le aree della cognizione sono le stesse della percezione (cosa si era perso, quel cattedratico dell’Università di Napoli, che mi aveva accusato di essere rimasto troppo in periferia). Allo stesso tempo, le aree della memoria sono le stesse aree della percezione e della cognizione. L’informazione dall’ambiente raggiunge il cervello. Il tempo che impiegherà nel suo viaggio, oltre al sincronismo con cui alcuni circuiti corticali registreranno tale informazione, ci renderà consapevoli di tale informazione. Senza comprendere la biologia della percezione e della memoria non potremmo comprendere i sintomi di quel quadro clinico che per convenzione viene definito autismo. Senza tale comprensione, come possiamo fare la nostra classificazione?.

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