La nuova concezione proposta, ovvero l’approccio biocognitivo, considera il vedere, il sentire, il gustare, non dissimile dal “toccare”. Ad esempio, percepire al tatto una pipa o una palla consiste nell’usare la mano come strumento per esplorare l’oggetto, ovvero la pipa o la palla. Così come quando, strizzando una spugna facciamo esperienza della sensazione di morbidezza. Quest’ultima è intimamente connessa alla particolare interazione verificatasi con la spugna. Allo stesso tempo, l’esperienza visiva non è qualcosa “creata” dal nostro cervello (cognitivismo classico), ma consiste nell’essere coinvolti in un’ interazione visivo-esplorativa con l’ambiente...
“L’interprete autistico”
Non vi sono più dubbi, il nostro sviluppo neurologico e, dunque, il nostro modo di divenire individui (con un comportamento normale o patologico), è plasmato dalla pressione ambientale ed evolutiva. Infatti, il nostro cervello, non meno del nostro cuore o delle mani, si è evoluto all’interno di una particolare situazione ambientale, sotto la pressione selettiva idonea per quella situazione. Appare sempre più evidente che le nostre abilità cognitive non possano essere prerogativa di una porzione del nostro cervello...