Uno degli obiettivi del blog è quello di favorire la conoscenza di un modello teorico nuovo : il biocognitivismo secondo l’approccio sensori-motorio. Tale modello potrebbe essere utile per comprendere al meglio perchè un bambino manifesti, costantemente, un comportamento anomalo, oppure perchè non acquisisca una specifica abilità e, soprattutto, sul come aiutarlo in termini di strategie terapeutiche.
Affidarsi ad un modello biocognitivista significa anche il voler considerare la nostra vita un flusso di attività che dipendono, non solo dalle nostre conoscenze ed abilità (concezione cognitivista classica), ma anche dal luogo ove si verificano. Ho più volte provato, durante alcuni miei viaggi all’estero, la frustrazione di quanto uno possa essere un gradevole interlocutore ed un buon conoscitore di specifici argomenti ma, trovarsi in una terra dove si parla una lingua sconosciuta e, non poter essere ciò che si è (mi sentivo cognitivamente cambiato). Così come non è sufficiente essere bravo a respirare per restare sott’acqua; nemmeno Diego poteva essere chi è stato, se non avesse incontrato altri calciatori.
Per gli approcci cognitivisti classici (teoria della mente) il cervello costruisce un modello interno del mondo; il soggetto che non sa costruirlo, o dovesse farlo in maniera anomala, inevitabilmente diviene un ritardato mentale, di grado più o meno grave. Invece, il modello biocognitivista che io propongo affonda le sue radici nella biologia evolutiva. Non possiamo prescindere dagli studi di Kandel. Questi ha mostrato come, anche una lumaca di mare possa apprendere, ricordare e modificare il suo comportamento, alla luce di ciò che ha appreso. Dove ha luogo questo processo di apprendimento? Esso risulta essere distribuito all’interno del sistema nervoso dell’animale. La lumaca, soggetta a stimolazione impara, ed il sistema nervoso dell’animale rende possibile tale processo. Quello che appare più interessante è che il processo di riorganizzazione neurologica o apprendimento è diretto dallo stimolo ambientale.
Gli approcci tradizionali (psicologia cognitiva) all’apprendimento ed alla percezione sono inclini a considerarli come qualcosa che accade dentro di noi. Ad esempio, la visione viene considerata un fenomeno riconducibile alla retina ed alle strutture corticali. Secondo il modello biocognitivo, la percezione diviene un’attività corporea. Non posso provare il gusto che provo senza masticare e muovere la lingua, non posso essere enologo senza allargare le narici e portare progressivamente il calice verso il mio naso, come non posso vedere senza un movimento degli occhi, della testa e del capo. Questi movimenti producono a loro volta cambiamenti di ciò che “sensorialmente” stimolerà la mia retina. In ultima analisi, ciò che percepisco dipende da ciò che faccio. Il percepire non è qualcosa che avviene dentro di noi, bensì dipende da cosa noi facciamo. Il modello biocognitivo basato sull’approccio sensori-motorio considera il percepire quale un’abile interazione con gli oggetti percepiti. Non potremmo vedere se non avessimo un cervello, ma non potremmo farlo neanche se gli oggetti non esistessero, come non potremmo percepire senza il corpo ed i tipi di recettori che abbiamo. Il cervello si occupa di coordinare la nostra relazione con gli oggetti che ci circondano e che percepiamo.
Quello che esperiamo non è determinato dal carattere intrinseco alla stimolazione sensoriale, piuttosto, a svolgere un ruolo decisivo è il modo con cui la stimolazione sensoriale varia in funzione del movimento. I movimenti, apparentemente afinalistici, dei bambini con autismo (stereotipie), grazie al modello biocognitivo, appaiono sempre più come modalità adattive per favorire la cognizione. Purtroppo, in quest’istante, una moltitudine di medici e tecnici della riabilitazione, oltre che di educatori e psicoterapeuti, li osservano da ore o giorni, al fine di stabilire il grado di ritardo mentale.