Parlare di emozioni in senso generico per le neuroscienze non è di particolare interesse, in quanto, come abbiamo già detto, i circuiti neuronali ed i neurotrasmettitori che generano le diverse emozioni sono spesso molto differenti. Pertanto, in clinica potrebbe verificarsi che un comportamento di paura, o di disgusto, o di tristezza, o di gioia, o di rabbia, o di sorpresa, si manifesti costantemente in maniera anomala, senza pregiudicare le altre emozioni. Inoltre, abbiamo appreso che, i comportamenti emotivi, in gran parte prestabiliti, hanno una valenza positiva ai fini della sopravvivenza dell’organismo e, per tale motivo, nel corso dell’evoluzione si sono sempre di più selezionati. Ad esempio, l’espressione di disgusto è determinata da un programma funzionale che permette di ridurre il contatto sensoriale tra la cavità orale e le sostanze disgustose, oltre a rappresentare l’inizio dell’atto di rigurgitare il cibo andato male. Quello che deve sempre esserci chiaro è che i comportamenti o risposte emotive sono regolati da azioni complesse (a differenza delle risposte riflesse coinvolgono una moltitudine di distretti muscolari), coordinate (l’azione di muscoli anche distanti è coordinata al fine di garantire un’azione efficiente per la sopravvivenza), ed automatiche (una volta attivata la via sensoriale dello stimolo o la via della rievocazione la risposta emotiva si genera). Dunque, l’espressione facciale, la postura, le risposte vegetativa e neuroendocrina si sprigionano come fossero un riflesso, indipendentemente dall’intenzione dell’organismo. Questa specificità della risposta emotiva ci suggerisce che, le aree neuronali che garantiscono il comportamento emotivo hanno, per lo più, un’organizzazione modulare altamente specializzata (ricca di informazione), ma poco integrata (associata) e, pertanto, in presenza dello stimolo sensoriale, non possono non attivarsi. Il vantaggio evolutivo sta nella grossa rapidità di azione rispetto alle risposte “cognitive”, che sono modulabili, pertanto, in natura è utile la regola che vuole un falso allarme vantaggioso rispetto ad un vero pericolo non calcolato. Le aree neuronali che regolano queste azioni complesse, coordinate ed automatiche (risposte emotive), sono localizzate sia nel Tronco Cerebrale che nella parte profonda delle nostre cortecce cerebrali, specie lungo la linea mediana del S.N.C., formando in parte quello che gli anatomisti hanno denominato “sistema limbico”. Quello che di notevole interesse emerge dai recenti studi delle neuroscienze è che, in queste aree vengono integrate due tipi di informazioni differenti : in cosa, in termini di sensorialità, l’organismo si è imbattuto, come “quest’incontro” ha modificato lo schema corporeo, ovvero le mappe enterocettive. Il comportamento emotivo conseguenziale (complesso, coordinato ed automatico) avrà lo scopo di ristabilire l’omeostasi. Una valutazione da una prospettiva neurobiologica evolutiva, mette in risalto come, queste aree neuronali sono situate in quelle regioni del S.N.C. che cercano di raggiungere, dal secondo/terzo mese di vita al decimo/dodicesimo mese, una buona organizzazione neurologica, al fine di garantire al cucciolo d’uomo il progressivo passaggio dal movimento afinalistico (riflessi), alla capacità di spostarsi (prima striscio e poi carponi). Questa nuova abilità di muoversi autonomamente nell’ambiente richiede che quell’organismo sia fornito dell’abilità di rispondere in maniera autonoma (veloce), coordinata e complessa a situazioni capaci di modificare l’omeostasi dell’organismo. La risposta emotiva è, pertanto, una risposta corporale, ovvero una risposta delle viscere e della muscolatura scheletrica. Nei prossimi articoli vedremo come, nel corso dello sviluppo, sia filogenetico che ontogenetico, questa risposta ha avuto anche il grande vantaggio di favorire, non solo la conoscenza consapevole (cognitivo), ma soprattutto di favorire le forme più complesse di astrazione. Eppure, questa risposta emotiva viene a generarsi già in una parte profonda del tronco cerebrale (nucleo ambiguo), ove l’attività vagale e quella della muscolatura facciale trovano collegamenti anatomici, favorendo così nuove funzioni funzioni.
Quale professionista, allo stato attuale, può esprimere un livello di stupidaggine tale, da chiedersi se il soggetto con autismo abbia o meno una vita emotiva?. Innanzitutto la questione è priva di interesse scientifico. L’autismo è solo un termine convenzionale e, lo stesso, le emozioni. Nel corso della mia carriera di clinico ho incontrato migliaia di soggetti con autismo, di ogni età e sesso. Ho incontrato persone terrorizzate per la presenza di un neo sul volto dell’interlocutore o per due gambe sotto una gonna, per non parlare dell’abbaiare del cane o “dall’incontro” con un palloncino gonfiato, allo stesso tempo potevano restare con una sigaretta accesa sul palmo della mano o non provare disgusto per le feci, come non manifestare “l’effetto sorpresa”. In termini scientifici e, dunque, clinici, la questine non sta nello stabilire se, il soggetto con autismo, abbia o meno una vita emotiva (CERTO CHE CE L’HA), ma nel comprendere perchè, sovente è disfunzionale e, soprattutto, come aiutarlo.
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