La storia della “cecità mentale”, vista nell’ultimo articolo, rappresenta una chiara testimonianza di come l’autismo, non solo da un punto di vista diagnostico, ma anche da un punto di vista dell’interpretazione patogenetica, nel corso di tutta la sua storia, anche recente, sia stato affrontato con metodi molto approssimativi. Un esempio di quanto affermato è rappresentato dal fatto che, diversamente da quanto avviene nel formulare una diagnosi di epilessia e/o di morbo di Parkinson, i criteri diagnostici per l’autismo sono cambiati a ogni nuova edizione del DSM. Il blog, dalla sua nascita, si è posizionato fuori dagli schemi, raccomandando sia ai genitori che a quanti sono interessati nel tentativo di proporre protocolli terapeutici per questi soggetti, di non restare prigionieri delle etichette diagnostiche o dalla semplice funzione di categorizzare un quadro clinico. D’altronde, non va dimenticato che, alla fine degli anni settanta, il DSM definiva l’omosessualità una malattia mentale, pertanto, possiamo scientificamente dubitare di un’ intera classe medica, i cui esponenti, con superficialità e conseguenze drammatiche, ancora oggi affidano diagnosi ad un manuale.
A mio avviso, come già in passato ampiamente sottolineato, l’aspetto più drammatico della intera vicenda è che, i tecnici, continuano a produrre una mole impressionante di dati che descrivono tutte le difficoltà di questi soggetti, da quelle comunicative verbali, a quelle sociali-relazionali (il famoso sguardo sfuggente), senza minimamente interessarsi agli aspetti sensori-motori, che generano tali deficit. Purtroppo, come per molte altre condizioni storicamente di interesse psichiatrico, l’autismo viene identificato solo dall’osservazione del comportamento, tralasciando l’interesse sulle cause e sulla patogenesi di quel comportamento anomalo.
Altro importante paradosso è che, ad oggi, tutti i tecnici hanno accettato l’idea, secondo la quale, l’autismo rappresenta una condizione biologica, ovvero organica. Nessuno è più disposto a difendere ipotesi di genesi dinamica, mentre tutti concordano sul fatto che, una lesione cerebrale, o una disfunzione del Sistema Nervoso, sia responsabile del quadro autistico. Questo grazie alle conquiste delle neuroscienze attuali che, con forza, hanno diffuso il concetto che possiamo comportarci come ci comportiamo, quando l’insieme delle complesse relazioni tra le varie parti del cervello funziona “nella norma”. Pertanto, neppure il più nostalgico dei tecnici può pensare che, un soggetto con autismo possa fare (o non fare) quello che fa, senza che accadano cose “anomale” nel suo cervello. Allo stesso tempo, tanti soggetti con autismo hanno testimoniato di essere “vittime” di un notevole sovraccarico sensoriale, mentre tantissimi genitori hanno trovato la forza ed il coraggio di pubblicare il successo del loro costante impegno, nell’aver escogitato strategie atte a migliorare la funzione di “filtro” dei circuiti talamo-corticali dei propri figli. Eppure, i tecnici non hanno abbandonato l’approccio psicoterapico. Essi preferiscono “lavorare a tavolino” con i bambini con autismo. Il loro intervento è finalizzato a “motivare” il bambino oppure a “scoraggiarlo” (tecniche psicoterapiche in quanto non intervengono sulle cause, ne sulla patogenesi, ma solo sul sintomo).
Provo quasi rimpianto per gli anni bui, almeno c’era la speranza che la conoscenza potesse modificare gli approcci. A volte provo la sensazione di un caos maggiore di quanto le cose stavano peggio. Certo le nostre conoscenze scientifiche sono enormemente aumentate ma, per molto senso, sembriamo più confusi che mai (affermiamo che trattasi di un problema biologico ma lo affrontiamo in termini psicoterapici). E’ come se dicessimo che l’idea freudiana che i sogni siano mascheramenti simbolici di pensieri vergognosi o proibiti abbia perso il proprio consenso (come è giusto dire) e allo stesso tempo, continueremmo a proporre terapie mirate ad interpretare i sogni dei “nevrotici”. Sarebbe una gran confusione, eppure questo è quanto, in termini scientifici, oggi accade per l’autismo.
Eppure, bisogna trovare una via d’uscita. L’invito del blog è quello di basare le diagnosi su dati biologici e non su osservazioni comportamentali. Allo stesso tempo, proporre un protocollo terapeutico ed una prognosi per ogni singolo paziente, ovvero caso per caso. D’altronde il blog nasce per questo, per tentare di classificare gli autismi sulla scorta della sintomatologia, dell’età di esordio dei primi sintomi e sul referto dell’elettroencefalogramma. Penso che dovremmo ripartire proprio da quest’ultimo parametro.