Uncategorized

Liberarsi dai fantasmi

Negli ultimissimi articoli ho peccato di pessimismo ( ho sostenuto che attualmente la situazione “autismo” è più caotica del passato). Questo non va bene quasi mai, in special modo per la problematica che il blog tratta. Sono fermamente convinto che nella vita sia sempre meglio smettere di pensare a quello che non va e concentrarsi con forze, energie e pensieri, su quello che potrebbe andare meglio. D’altronde, un atteggiamento positivo, qualora venisse adottato dai vari professionisti del settore, potrebbe rappresentare uno stimolo anche per gli esperti, ovvero per quei familiari che QUOTIDIANAMENTE fanno esperienza del problema. Anche perchè, quando noi tecnici falliamo nell’approccio (ossessione nell’etichettare il quadro clinico e mettere in risalto i deficit), inevitabilmente avvertiamo la necessità di accompagnare i genitori in un percorso di accettazione della condizione e, dunque, ci avviamo verso il fallimento totale. Di certo, l’approccio riservato dagli accademici all’autismo, anche in tempo reale, non ha aiutato i tecnici  del settore. Basti pensare che, per più di trenta anni, da quando nel 1943 Leo Kanner introdusse il termine autismo, la comunità accademica, oltre a descrivere i sintomi, si preoccupò di definirne la causa e, poichè all’epoca era la teoria psicanalitica a dominare il pensiero psichiatrico, si sostenne che la causa stesse nel comportamento anaffettivo della madre. Negli anni ottanta, la comunità accademica mondiale diede origine ad una vera svolta, con conseguenze, per molti versi, oscure. Da una parte, un maggior rigore scientifico verso tutte le “malattie mentali” contribuì alla messa al bando della favola “della madre frigorifero” ed al crollo di tutte le interpretazioni psicoanalitiche (non mi risulta che nessuno abbia mai risarcito quei genitori ritenuti responsabili del comportamento autistico dei propri figli), dall’altra, grazie al DSM-III, tutta l’attenzione si spostò sui sintomi. Dopo la “bruttissima figura” fatta dal mondo accademico, nell’aver sostenuto la teoria della madre frigorifero quale causa del comportamento autistico, veniva considerato superfluo chiedersi il perchè della presenza di questi drammatici sintomi. La medicina, nello specifico, ripiegava su se stessa, quasi snaturandosi, evitando di interrogarsi sulle cause (a mio personalissimo avviso, in tal modo, ha favorito la favola moderna, quella della genetica). Da quel momento emerge un atteggiamento anomalo (da una prospettiva medica) rispetto ai soggetti con autismo, oltre che eccezionale,  capace di determinare molti degli insuccessi professionali del settore. Come ho scritto nel volume “I bambini dallo sguardo sfuggente” del 1999, in nessuna condizione medica i sintomi, ovvero gli effetti, diventano causa. Gli edemi agli arti inferiori, per un clinico, non rappresentano la causa del problema (piedi gonfi), bensì il sintomo di una malattia. Così anche la tosse, oppure la febbre. Nel nostro caso, dopo la pubblicazione del DSM-III, quando un bambino non verbalizzava accadeva perchè era autistico. E, quando si mostrava iperattivo, lo era perchè autistico. Così come, quando non mostrava particolari interessi, o era “preso” dalle sue stereotipie, accadeva perchè era affetto da autismo. Dagli anni novanta in poi, l’unico scopo degli accademici è stato quello di categorizzare gruppi di pazienti in base a caratteristiche cliniche comuni. Allo stesso tempo, si può anche dire che molto, in positivo, è cambiato. Ad esempio, negli ultimi anni molte ricerche vengono fatte sul cervello, mentre quelli che parlano del “mentale” si assottigliano sempre di più. Inoltre, grazie a queste ricerche, è maturata in molti l’idea che non possiamo trovarci di fronte ad un unica causa, bensì a più cause e, pertanto, sarebbe più utile parlare di autismi (ricordate l’obiettivo del blog?). Allo stesso tempo però, siamo consapevoli che continuiamo a perdere tempo in quanto non affrontiamo con determinazione il “COME” nascono i sintomi (patogenesi). Il mio auspicio è che, un gruppo sempre più numeroso di giovani e preparati ricercatori, meglio se di formazione eterogenea, possa liberarsi dei fantasmi generati dalla storia di questa affascinante e drammatica condizione clinica (autismo) e non restare prigionieri dei falsi condizionamenti, quali quelli di definire la causa di tutti gli autismi (dal 43 agli anni 80 del secolo scorso), oppure di etichettare pazienti in base a sintomi comuni senza interrogarsi sulle cause dei sintomi (dagli anni novanta del secolo scorso ad oggi),ma dar vita ad un percorso ove l’obiettivo sia quello di stabilire l’origine dei sintomi. Dire che un bambino si tappa le orecchie in ambienti caotici, ha paura dello scoppio del palloncino, come dell’abbaiare di un cane o del pianto improvviso di un neonato, così come avverte suoni a distanza, dire che ha una soglia del dolore alta, oppure fallisce nella manualità fine, come può non tollerare sciarpe, guanti, occhiali, ma anche calze e/o scarpe, così come dire che ingoia senza masticare oppure si riempie la bocca di cibo, o annusa tutto, oppure mangia di tutto, o passa intere ore a ruotare oggetti, oppure a guardare sempre lo stesso filmato, perchè è autistico, non è sbagliato, ma NON E’ NEMMENO UTILE. Andare alla ricerca di cosa sia successo in quel cervello da determinare la genesi di quel comportamento anomalo, convenzionalmente etichettato autistico, è, non solo professionalmente stimolante, ma anche un modo per chiedere scusa a quanti hanno subito un torto dalla medicina.

3 commenti a Liberarsi dai fantasmi

  • Paola Trivulzio

    Grazie

    Rispondi
    • Luisa Pucci

      Continui ancora ad emozionarci così…..
      Grazie

      Rispondi
      • lidia mela

        Grazie

        Rispondi

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*