L’approccio psicologico (concentrarsi sulle conseguenze come se fossero le cause del problema) all’autismo potrebbe essere alla sua fine, ma ci sarà un momento in cui tutte le scoperte sulla biologia del cervello verranno recuperate anche per questa drammatica condizione medica ? Sin da Kanner (1943), la neurologia prima e le neuroscienze in genere dopo, non sono state di certo protagoniste. Quello che potrebbe cambiare le cose dovrebbe essere un filone di studi, in parte avviatosi già negli anni passati, ma che è rimasto molto mortificato, ove la priorità viene rappresentata dal tentativo di comprendere la fisiopatologia dei sintomi più che dall’etichettare i bambini. In effetti, quello che sovente è mancato in molti addetti ai lavori (motivo per cui è nato il blog) è il non aver avuto il coraggio di lanciare una sfida ad una serie di affermazioni, spesso date per scontate dall’opinione pubblica, ma senza solide prove scientifiche ( ad esempio:la cosa più importante è una diagnosi il più precoce possibile oppure, nessun protocollo terapeutico è scientificamente convalidato ma possono tutti essere utili). Eppure, al contrario di quanto molti fanno pensare, una volta che un disturbo relazionale in età evolutiva accompagnato ad un deficit del linguaggio è stato identificato con l’etichetta di autismo, la diagnosi fatta offre scarso, o nessun beneficio, nel guidare la natura dell’intervento terapeutico. Quando iniziai ad occuparmi di autismo (1992), tra la comparsa dei primi sintomi rilevati dai genitori e la diagnosi fatta dallo specialista, intercorrevano anche 24 mesi (all’epoca nessun bambino veniva diagnosticato prima del compimento del terzo anno di vita). Attualmente, l’intervallo di tempo si è ridotto a 6, massimo 8 mesi (il tempo della fatidica osservazione, più che degli esami diagnostici), anche in riferimento alla tanto decantata utilità della diagnosi precoce. Ma per quale utilità se poi i protocolli terapeutici vengono stabiliti:a) in luoghi differenti da quelli accademici ove, invece, è stata fatta diagnosi, b) da parte di professionisti differenti da quelli che hanno fatto la diagnosi, c) per veder prescritto un protocollo terapeutico indipendente dall’età del paziente e, soprattutto, dalla clinica manifesta, come, anche, da segni neurologici ben conosciuti in neurologia.
A tal proposito passiamo ad esaminare le difficoltà che i bambini con autismo manifestano quando devono manipolare un oggetto (lavarsi i denti, chiudere una porta con la chiave, usare le posate, tagliare, ecc.), come se non riuscissero ad adottare la posizione giusta delle mani, indipendentemente da come viene posta la richiesta (verbalmente o su imitazione) ma, allo stesso tempo, capaci di muovere bene il corpo. Tale difficoltà, per lo più gestuale, pur non spiegandosi con un disturbo motorio elementare (tremore o deficit del tono o della forza) è una condizione molto familiare ai neurologi. Definita sin dal 1900 con il termine aprassia (da praxis che significa azione), rappresenta lo psicostato di un anomalo neurostato (lesione di circuiti neuronali situati nella parte posteriore del lobo temporale). In seguito a tale lesione si perde una parte di integrazione tra modalità percettive differenti (propriocettive, visive, uditive) con conseguente perdita di conoscenze relative agli oggetti, al fine del loro uso.
Al contrario di quanto pensano molti, una volta che una difficoltà nel manipolare gli oggetti è stata identificata, ed associata ad altri segni e sintomi conduce ad una diagnosi di autismo, quale beneficio ne trae il paziente? Forse, sarebbe stato meglio identificare i punti di forza (capacità mnesiche, senso di orientamento, ecc.) e di debolezza del bambino, e puntare direttamente a questi. Se lo scopo è aiutare ogni bambino con segni e sintomi clinici secondari ad una disfunzione del Sistema Nervoso, sarebbe più utile individuare la natura (neurostato) del suo specifico problema (psicostato), al fine di SELEZIONARE una strategia terapeutica efficace per compensarlo, e non focalizzare tutta l’attenzione sulla necessità di trovare un’etichetta.
Grazie Dottore, leggere i suoi scritti è come prendere una boccata di ossigeno, è come se, dopo tanto girare, cercare e combattere e discutere con chi si presenta come “preparato e specializzato” ma non capisce nè cause e nè aimè spesso nemmeno il sintomo…arriva un sospirato finalmente…
Salve Prof. mi chiedevo cosa può causare l’ aprassia in un adulto ? Grazie sempre per tutto quello che fa per noi.