Sono trascorsi otto giorni dall’incontro con la professoressa Tina Iachini presso il Grand Hotel Flora in Sorrento. Il ricordo dell’incontro con la neuroscienziata, come anche quello della presentazione delle tesi da parte delle dottoresse che hanno completato il corso di studio sulla Metodologia Delacato è, tuttora, vivo e forte. Per questo motivo voglio ritornare sul concetto di spazio emotivo e sociale, oltre che sul suo sviluppo ontogenetico (visto che il blog si occupa di patologie del neurosviluppo).
Poche cose possono affascinare come quella di guardare due individui che danzano, a volte stretti in un abbraccio, a volte allontanandosi l’uno dall’altro, a secondo dei passi del ballo che eseguono.
Le neuroscienze negli ultimi anni, come le ricerche della professoressa Iachini, si stanno chiedendo se i confini emotivi tra sè e gli altri possono influenzare le azioni e le percezioni del corpo, inoltre, se possa essere vero anche il contrario. Per rispondere a tale interrogativo si è chiesto alle persone esaminate di muoversi insieme, per tenere il tempo di un ritmo, anzichè muoversi a ritmi diversi, o fare movimenti diversi sullo stesso ritmo, osservando se questo portasse a comportamenti più cooperanti. Allo stesso tempo, attraverso neuroimmaging si è cercato di stabilire quali aree cerebrali si attivano quando usiamo metafore, come quella “ti sei alzata con il piede sbagliato” oppure, quando usiamo termini come “alzare il gomito” o “voltare le spalle” e non le espressioni del tipo “bere eccessivamente” o “tradire”.
Al centro di queste nostre abilità o comportamenti (psicostati) c’è il concetto di schema corporeo, ovvero di quella rappresentazione del nostro corpo, grazie alla quale possiamo muoverci nello spazio senza urtare gli oggetti, di grattarci un occhio senza ferirci e di sapere quanto e come allungare una mano per afferrare una tazzina di espresso napoletano senza rovesciarla.
Tutte queste abilità (psicostati) le abbiamo acquisite in quanto, nei primi due anni di vita, informazioni sensoriali differenti si sono integrate, consentendoci di identificare i contorni del nostro corpo oltre che, la posizione degli oggetti nello spazio rispetto ad esso (integrazione tatto-vista).
Quello che, di notevole interesse, è emerso negli ultimi anni dallo studio delle neuroscienze è che, questi neurostati (circuiti neurali dello schema del corpo) sono estremamente plastici (creando così le basi per il significato sociale ed emozionale). Infatti, sappiamo benissimo che siamo in grado di incorporare gli oggetti con cui interagiamo. Per esempio, dopo aver usato un utensile (racchetta da tennis) per un certo tempo reagiamo agli stimoli visivi vicini all’estremità di quell’utensile allo stesso modo in cui reagiamo agli stimoli vicini all’estremità della nostra mano. Allo stesso tempo, il coordinamento di azioni con altri esseri umani può condurci a integrare i loro corpi nel nostro SCHEMA CORPOREO in modo analogo a ciò che accade quando l’interazione con gli oggetti estende la nostra PERCEZIONE dei confini fisici del nostro corpo.
Ancora una volta l’invito del blog è quello di “uscire dagli schemi”.
La vecchia concezione del cognitivo, secondo la quale i bambini con autismo hanno ritardo mentale ed incapacità a leggere emozioni e sentimenti altrui, pertanto devono essere “curati a tavolino”(trattamento cognitivo/comportamentale), prescindendo dall’azione/percezione, è sepolta. Quella concezione è figlia del pensiero filosofico di Aristotele, che sviluppò la teoria della tripartizione dell’anima: vegetativa (deputata a nutrizione, crescita e riproduzione), sensitiva (percezione e movimento), razionale (capacità di pensiero e decisionale). Oggi le neuroscienze ci propongono un nuovo concetto di cognitivo, quello basato su di un modello sensori-motorio. Il mio maestro, Carl H. Delacato, aveva intuito.