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El nino autista

Chi segue il blog sin dai primi articoli sa che, dopo la fase iniziale, di formazione, avrei dato voce ai lettori. Per tale motivo, nell’ultimo articolo pubblicato, avete letto “la storia di Diego”, una storia vera, inviatami dalla sua mamma in occasione di un nostro imminente incontro. Anche oggi il contributo proposto è scritto da una lettrice.

In occasione del Master sulla Metodologia Delacato, la dottoressa IRENE dEL OLMO, medico e specialista in medicina d’urgenza nella città di Madrid, in qualità di iscritta al Master, ha presentato ai docenti del corso una personale recensione del libro “ALLA SCOPERTA DEL BAMBINO AUTISTICO”, pubblicato da Carl H. Delacato nel 1974,  Di questo lavoro vi presento i punti salienti.

“Il libro di Carl Delacato The Ultimate Stranger- The Autistic Child è stato pubblicato nel 1974 ed è il risultato di più di 20 anni di studi e lavoro con bambini con autismo. Negli anni 40 c’era stata la prima apparizione del termine “autismo”, descritto da Leo Kanner sulla base di elementi clinici fondamentali (chiusura relazionale, ripetitività, interesse più per gli oggetti che per le persone, scarso uso del linguaggio anche in presenza, talvolta, di memoria fenomenale), ad eziologia psicodinamica. Questa visione fu condivisa da notevoli psichiatri, tra cui Bruno Bettelheim e Donald Winnicott, e respinta da altri, come Bernard Rimland (sosteneva che l’autismo fosse un disordine biologico su base genetica e rese pubbliche queste idee nel suo libro “Infantile Autism”: The Syndrome and its implications for a Neural Theory of Beavior, pubblicato nel 1964). Negli anni 60 Carl Delacato, con il supporto degli Istituti di Philadelphia, e grazie ad una lunga esperienza lavorativa con bambini cerebrolesi, diede inizio alla sua rivoluzionaria ricerca sull’autismo. Già nel suo primo libro Delacato aveva introdotto il concetto di ORGANIZZAZIONE NEUROLOGICA ed aveva anche osservato che i bambini con lesione cerebrale minima e diffusa avevano disturbi della percezione, da cui prendevano origine i disturbi comportamentali. Delacato non condivideva l’origine genetica dell’autismo, poichè all’epoca l’approccio genetico era fondato su un’idea di determinazione rigida ed immodificabile e,inoltre, non vi era ancora alcun concetto di epigenetica. Per tale motivo decise di continuare l’osservazione dei comportamenti anomali presenti nei bambini con autismo, interessandosi più alla patogenesi che all’eziologia. Cosi, osservò che nei bambini con deficit sensoriali (sordi, ciechi) si trovavano le stesse stereotipie. Pertanto, giunse ad una prima considerazione: nei bambini con autismo la lesione cerebrale, minima e diffusa, aveva comportato un disturbo sensori-motorio o della percezione. Inoltre, ben presto, intuì che le stereotipie rappresentavano il tentativo, da parte degli stessi bambini, di percepire il mondo, compreso, talvolta, il proprio corpo. Su questa ipotesi di lavoro, nel 1967, diede inizio alla seconda fase della sua ricerca scientifica: osservare le differenti stereotipie che presentavano i suoi pazienti, al fine di identificare il tipo di disturbo percettivo e normalizzare, con la riabilitazione, la circuiteria neuronale coinvolta. Giunse così alla seconda importantissima scoperta: LE ANOMALIE COMPORTAMENTALI ED I DEFICIT (linguaggio, disprassie) FACEVANO RIFERIMENTO AD UNA COMBINAZIONE DI DISTURBI SENSORIALI. I disturbi sensoriali potevano essere in iper (scarsa inibizione corticale per cui arriva informazione in eccesso), in ipo (caso opposto) oppure in rumore bianco (il sistema sensoriale attivato crea un’interferenza con altre informazioni in entrata). Per Delacato, attraverso l’osservazione è possibile identificare sia il canale sensoriale “guasto” che il tipo di alterazione. Pertanto, si iniziava a prendere in cura questi bambini, cercando di “normalizzare” il sistema alterato attraverso una stimolazione coerente e ripetitiva. Una volta “normalizzato” il disturbo percettivo, la stereotipia scompariva, il bambino  cominciava a prestare attenzione al “mondo reale”(fase di sopravvivenza), migliorava l’interazione, inoltre, migliorava la manipolazione del mondo oltre che, la conoscenza del proprio corpo in relazione al mondo. Le successive terapie neuroriabilitative, come le esperienze della vita, avevano l’ulteriore compito di migliorare l’organizzazione neurologica o apprendimento. Negli anni 70 del secolo scorso, sulla base dell’origine biologica del quadro sindromico, negli U.S.A., oltre alle idee di Delacato, presero origine diverse proposte di trattamento, tra cui gli interventi cognitivi-comportamentali ed educativi. Questi si  basavano sull’idea che l’autismo fosse una sindrome con pattern comportamentali modificabili a seguito di programmi specifici strutturati in relazione all’ambiente, all’individuo ed ai suoi bisogni. Lo scopo delle tecniche cognitive-comportamentali era quello di promuovere, nei soggetti con autismo, dei comportamenti adattivi e di ridurre quelli problematici attraverso un intervento intensivo e programmato. In realtà, secondo i fautori di tali proposte terapeutiche,essendoci l’impossibilità di agire sulle cause, si deve cercare di attenuare i sintomi in modo da rendere il soggetto con autismo più integrato socialmente. Nella stessa direzione vanno tutti gli sforzi per favorire l’inclusione dei bambini autistici nella scuola normale, senza riflettere sul fatto che, forzare l’inclusione scolastica prematuramente, sulla base dell’integrazione e della tolleranza, rischia di esporre i bambini autistici, non ancora pronti, a maggiori difficoltà relazionali. Inoltre, prendevano origine proposte farmacologiche (metilfenidato, ossitocina), e proposte di trattamenti basati sull’integrazione sensoriale (Anne Jean Ayres)”.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare che, il libro di cui stiamo discutendo è stato scritto nel 1974. Ma questo è un dato irrilevante, anche perchè, gli organismi sanitari mondiali, solo nel 2015 (DSM V) hanno preso consapevolezza che i soggetti con autismo manifestano disturbi sensoriali.

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