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Siamo condannati ad imparare: la neuroplasticità (parte seconda)

Le prime indagini neuroscientifiche sulla plasticità cerebrale risalgono alla metà del secolo scorso, grazie ai contributi del neurofisiologo polacco Konorski (allievo di Pavlov) e del neuropsicologo canadese Hebb. Infatti, nel 1949, il primo formulò la teoria che i collegamenti sinaptici tra cellule nervose si modificano (plasticità) con l’apprendimento condizionato, mentre il secondo ipotizzò che la frequenza, l’intensità e la costanza dello stimolo sensoriale fossero condizioni capaci di regolare la forza delle sinapsi, ovvero dell’apprendimento.

Altra figura illustre ed importante ai fini delle nostre conoscenze in merito alla neuroplasticità è stata quella del neurofisiologo americano Paul Bach-y-Rita che ebbe il merito di conoscere, per primo, la capacità della corteccia somato sensoriale di riorganizzarsi. Grazie a queste sue intuizioni, il neurofisiologo americano rivoluzionava la neuroriabilitazione. Infatti, per la prima volta nella storia della neuroriabilitazione (1969), veniva messa a punto una macchina con lo scopo di tradurre un’informazione sensoriale (vibrazioni tattili) in un’altra funzione (quella visiva).

Il 1991 rappresenta l’anno in cui nasce una vera scienza della plasticità, grazie, soprattutto, ai lavori di Merzenich. Il neuroscienziato ed il suo gruppo dell’università della California a san Francisco osservarono come si modificavano la morfologia e la funzione dei neuroni della corteccia somatosensoriale e motoria di scimmie sottoposte a differenti esperienze. Impedendo alle scimmie di muovere le dita contemporaneamente si determinava il cambiamento della disposizione delle cellule nervose a livello corticale. Grazie a questi studi migliorava la nostra comprensione sul modello somatotopico, in merito al quale si organizza la corteccia cerebrale, inoltre, si veniva a conoscenza della grossa dinamicità delle mappe somatotopiche. Ai fini della neuroriabilitazione si apprendeva che, il cervello dei primati può riorganizzarsi modificando l’esperienza sensorimotoria.

Inoltre, Merzenich si è occupato anche dell’organizzazione della corteccia uditiva, dimostrandone il modello “tonotopico”. Sappiamo che, nella corteccia cerebrale uditiva (lobo temporale) hanno sede neuroni disposti in base alla loro sensibilità per bande di frequenza. Ad esempio, un suono di 2,5 chilohertz viene elaborato da cellule nervose situate in una regione ben precisa della corteccia uditiva, direttamente adiacente a suoni più bassi e più alti. Quando si addestravano le scimmie a distinguere suoni di 2,5 chilohertz da suoni di altre frequenze, queste divenivano capaci di riconoscere gradazioni sempre più fini, nell’arco di poche settimane. In effetti, con l’esercizio si modificava la TONOTOPIA nella corteccia uditiva, ovvero la superficie della corteccia uditiva rappresentante il suono con frequenza 2,5 chilohertz si era notevolmente ingrandita. Tutto questo per il fatto che, le cellule nervose adiacenti a quelle specializzate per la frequenza 2,5 chilohertz erano diventata specialiste per la nuova funzione.

Nel prossimo articolo vedremo, grazie al contributo delle neuroimmaging e di neuroscienziati quali Ramachandran, come è stata indagata la neuroplasticità nell’uomo.

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