Già a metà degli anni settanta del secolo scorso, la comunità scientifica mondiale cominciava ad interrogarsi sulla veridicità di una genesi dinamica alla base dell’autismo in età evolutiva, ritenendo tale ipotesi infondata. Pertanto, con l’avvento delle nuove tecnologie (dapprima T.A.C., poi R.M.N. e P.E.T.) si cominciavano a cercare i markers anatomici dell’autismo.
I limiti delle “vecchie macchine”, specie in termini di risoluzione spaziale, se da un lato servivano da alibi ad un gruppo di “baroni accademici conservatori”, dall’altro non scoraggiavano generazioni di giovani ricercatori, cultori delle moderne neuroscienze, che non si accontentavano di rilevare, in una moltitudine di soggetti autistici, referti neuroradiologici aspecifici, ma non privi di significato per quell’epoca, quali: ritardo di mielinizzazione, agenesia del corpo calloso, dilatazione ventricolare.
Per fortuna, la voglia di conoscere, sempre meglio, come il cervello contribuisca alla genesi del quadro clinico dell’autismo, non si è mai arrestata in tantissimi scienziati.
In tale ottica riveste notevolissima importanza una ricerca pubblicata, recentemente, su Biological Psychiatry da parte del dottor John Lewis e coll., che hanno studiato, mediante risonanza magnetica di diffusione in sonno, la connettività cerebrale in 260 neonati a rischio (per la loro storia anamnestica) di sviluppare un disturbo dello spettro autistico. Lo scopo della ricerca è stato quello di conoscere meglio come i moduli e sottomoduli neuronali si connettono tra di loro e come, successivamente, le aree cerebrali si integrano nella particolare organizzazione in rete, tipica della corteccia cerebrale umana. Inoltre, la ricerca era finalizzata a comprendere se la tipica disorganizzazione cerebrale, riscontrabile nei soggetti autistici, precedesse la sintomatologia e, dunque, ne rappresentasse la causa, oppure, se fosse secondaria al tipico comportamento del bambino autistico (siccome usa fare delle stereotipie la corteccia sensoriale si disorganizza), visto che, la maggioranza degli studi del genere era basato su adulti con autismo.
Quello che dalla ricerca è emerso, ed è estremamente interessante, è che:
-in tutti i bambini con autismo le alterazioni cerebrali precedono, anche di mesi, le manifestazioni sintomatologiche tipiche del quadro clinico (il neurotipo anticipa lo psicotipo).
-le alterazioni cerebrali rilevate sono in grado di predire la gravità del disturbo a distanza di 24 mesi dalla misurazione attraverso neuroimmaging.
-IL CERVELLO DEI BAMBINI CHE MANIFESTERA’ IL QUADRO CLINICO TIPICO DELL’AUTISMO MOSTRA DIFFERENZE NELLE AREE COINVOLTE NELL’ELABORAZIONE SENSORIALE E NON IN AREE DEPUTATE A FUNZIONI COGNITIVE SUPERIORI.
Diagnosticare precocemente l’autismo, non rappresenta solo un dovere verso i bambini e le loro famiglie, nè tantomeno uno slogan mediatico.
Diagnosticare precocemente l’autismo, cioè rilevare precocemente il tipo di disfunzione neuronale, è importante per consentire una diagnosi che anticipi la manifestazione dei cambiamenti comportamentali ,ovvero l’autismo.
Diagnosticare precocemente il tipo di disordine dello sviluppo neurologico è importante per consentire di intraprendere subito un programma di Organizzazione Neurologica e, dunque, provare a prevenire, attraverso la normalizzazione dell’attività sensori-motoria, quel drammatico quadro clinico, che per convenzione viene chiamato AUTISMO.