Tra le caratteristiche cliniche tipiche dell’autismo, lo sguardo sfuggente e l’anomalo sviluppo del linguaggio, da sempre, hanno attirato le attenzioni degli osservatori, più di ogni altro segno clinico.
Purtroppo, i bambini con disordine dello sviluppo neurologico pagano il prezzo della nostra più assoluta incomprensione, secondaria sia al fatto che “vedere come vediamo” è per noi una cosa estremamente naturale, sia al fatto che, la maggior parte delle idee che ci facciamo sul mondo che ci circonda, oltre alle memorie che di esso abbiamo, sono visive.
In effetti, saper riconoscere un oggetto dal suo sfondo, come avere la capacità di trascurare visivamente alcuni dettagli (ad esempio un neo su un viso) per occuparsi di altri (il volto nella sua globalità), richiede una capacità di analisi capace di superare di gran lunga quella richiesta per giocare a scacchi.
Già da alcuni decenni, grazie alle somiglianze del nostro sistema visivo con quello dei gatti e delle scimmie, le neuroscienze hanno potuto appurare che, per l’uomo, l’esperienza del mondo esterno riguardante la visione, ha un carattere globale (integrazione di informazioni altamente differenziate).
Infatti, l’unitarietà delle immagini (non vediamo forme statiche svincolate dai propri colori) non viene garantita da un unico sistema di circuiti nervosi organizzati gerarchicamente e specifici per la visione, ma da diverse (almeno quattro) vie nervose disposte in parallelo (il primo ad enunciare tale teoria fu Semir Zeki nel 1985), lungo tutto il lobo occipitale. Inoltre, da diversi anni, siamo a conoscenza che, due grosse vie, colleganti aree neuronali di lobi diversi (via dorsale o occipito-parietale e via ventrale o occipito-temporale), specializzate in funzioni diverse ( riconoscimento spaziale e riconoscimento semantico), caratterizzano il nostro modo di esperire il mondo attraverso la vista.
Quello che, attraverso altre ricerche, sta emergendo è che, l’organizzazione in reti parallele e distribuite, dinamiche ed interattive, non è prerogativa esclusiva della visione nè, tantomeno, delle percezioni in genere, ma risulta essere una caratteristica anche di quelle abilità, erroneamente considerate fino a qualche anno fa, funzioni cognitive superiori.
Infatti, grazie alla neurochirurgia da svegli, il principio “localizzazionista” o “modulare”, secondo il quale una area o modulo assolve ad una funzione precisa, è definitivamente seppellito.
Essendo il cervello privo di recettori dolorifici, alcuni pazienti, dopo essere stati anestetizzati al fine di “scoprire il cervello”, vengono risvegliati ed operati (asportazione di tumori cerebrali) mentre sono sottoposti a test funzionali (chirurgia da svegli). Di notevole interesse, per comprendere meglio come l’uomo apprende il linguaggio (per tale fine non possiamo utilizzare modelli sperimentali animali), è quanto rilevato nel caso di asportazioni di gliomi delle aree cerebrali del linguaggio (area di Broca).
Infatti, grazie alla chirurgia da svegli si è potuto definitivamente negare il principio secondo il quale una specifica area cerebrale possa assolvere, da sola, una specifica funzione; principio ritenuto valido per un secolo ed ancora oggi caposaldo di molti modelli cognitivisti e, pertanto, insegnato ai tecnici del settore.
Quello che è emerso, invece, è un modello fondato sulle “connessioni”, secondo il quale IL CERVELLO E’ COSTITUITO DA SOTTOCIRCUITI CHE INCLUDONO REGIONI CORTICALI E REGIONI PROFONDE, INTERCONNESSE DA FASCI DI SOSTANZA BIANCA.
Come per la vista, anche per il linguaggio, in sala operatoria è emersa l’esistenza di una doppia via: una dorsale (si occupa dell’elaborazione fonologica delle parole, fisco/disco) ed una ventrale (si occupa dell’analisi semantica della parola, cane/gatto). Queste due vie sono ben distinte nelle zone profonde del cervello, convergendo a livello di alcune aree corticali.
La produzione di un discorso sensato e coerente richiede, necessariamente, la sincronizzazione di queste vie.
LA PAROLA, COME LA VISIONE, SCATURISCE DALL’ATTIVAZIONE SIMULTANEA DI DIFFERENTI CENTRI NERVOSI, SE NON DI VASTE RETI CAPACI DI ESTENDERSI A TUTTO IL CERVELLO.
Il cervello umano è uno dei tanti prodotti naturali selezionatisi nel corso della storia della vita.
Non dovrebbe meravigliarci se la natura, trovato vantaggioso un modello organizzativo, non abbia fatto altro che replicarlo. E’ da queste numerosissime repliche (cento miliardi di cellule nervose infinitamente interconnesse) che emergono le abilità “umane” e non da “modelli organizzativi speciali”(direttori d’orchestra).