Quando, nel 1943, Leo Kanner per la prima volta descrisse l’autismo infantile, molti medici utilizzavano, per questi bambini, la diagnosi di schizofrenia precoce.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la schizofrenia (età di esordio tra i 16 ed i 24 anni) colpisce tra lo 0.5 e l’1% la popolazione mondiale (in Italia ne sono affette circa 400 mila persone).
La vita di un soggetto schizofrenico, come quella dei suoi familiari, non è facile.
Da una parte le allucinazioni visive e/o uditive, i deliri, talvolta le agitazioni, “spingono” il paziente verso una dimensione differente della realtà; dall’altra, la chiusura relazionale e sociale, la difficoltà nel percepire e manifestare emozioni, l’apatia, lo “spingono” verso l’isolamento. Sovente, i deficit mnesici, oltre che le difficoltà nel mantenere l’attenzione, aggravano il quadro clinico.
Le cause della schizofrenia, ad oggi, non sono state individuate. Dalla favola del papà autoritario e severo, nel corso degli ultimi decenni, si è passato a studiare ed a conoscere diversi fattori biologici cerebrali, al punto tale che, la schizofrenia, viene considerata dai tecnici di tutto il mondo un disturbo neurobiologico.
In tale ottica, e soprattutto al fine di una migliore conoscenza di tutte quelle patologie etichettate come “mentali”, assume notevole rilievo il lavoro svolto da un consorzio internazionale di scienziati (australiani, asiatici, europei, sud-africani e nord americani), nell’ambito di un progetto denominato “Schizofrenia Enigma”, che ha ricostruito cosa accade nel cervello degli schizofrenici a livello del CONNETTOMA (la fitta rete delle connessioni neuronali), individuando le notevoli differenze nella distribuzione della sostanza bianca nei cervelli degli schizofrenici rispetto ai normotipici.
Attraverso una tecnica specifica di risonanza magnetica, denominata “imaging da tensore di diffusione” o DTI, si può ottenere una mappa tridimensionale delle connessioni neuronali ovvero della distribuzione della mielina (sostanza bianca che ricopre le fibre nervose, capace di garantire sia la maggiore velocità del messaggio elettrico che l’integrazione delle informazioni nervose). Allo studio hanno partecipato 2359 soggetti sani e 1963 affetti da schizofrenia. Entrambi i gruppi avevano la stessa età media (36 anni).
Attraverso questo studio, gli scienziati hanno osservato come modificazioni profonde coinvolgano tutta la rete di connessioni (sono state trovate anomalie in 20 delle 25 aree cerebrali studiate). In particolare, le differenze connettomiche più rilevanti si sono registrate nei circuiti prefrontali-lobo temporale, nel giro del cingolo, nei circuiti talamo-corticale e, soprattutto, nel corpo calloso (unisce i due emisferi cerebrali).
Si è potuto, inoltre, osservare che, l’età di insorgenza del disturbo, la durata della malattia, il dosaggio dei neurolettici (farmaci specifici capaci di ridurre e/o eliminare le allucinazioni ed i deliri), non causano le variazioni di sostanza bianca.
Grazie a questi recenti studi, la comunità scientifica è sempre più orientata a considerare la schizofrenia un disordine che colpisce oligodendriti e cellule della microglia, ovvero la sostanza bianca e, dunque, a considerare la schizofrenia un disturbo del connettoma.
Anche se i meccanismi che conducono all’alterazione della connettività cerebrale non sono stati, ad oggi, individuati, non ci sono più dubbi: LA SCHIZOFRENIA, COME L’AUTISMO INFANTILE, E’ UN DISORDINE DEL CONNETTOMA.