La storia della nostra evoluzione non riveste un significato puramente “accademico”, poichè il passato permane nei Sistemi Nervosi, sia ontogeneticamente che filogeneticamente, pertanto, possiamo affermare che, il cervello è stato organizzato dal proprio percorso evolutivo.
I pattern comportamentali ancestrali giacciono nelle strutture cerebrali profonde che vengono inibite nel corso dello sviluppo ontogenetico (organizzazione neurologica). Se queste inibizioni dovessero fallire (per una noxa patogena) possono determinarsi comportamenti bizzarri (sguardo sfuggente, sfarfallamento davanti agli occhi, strappare fogli, incapacità di riconoscere colori, rimarcare le forme degli oggetti o mettere in fila oggetti e giocattoli, difficoltà nell’accettare figure attaccate alle pareti, paura nello scendere le scale, far ruotare gli oggetti, aprire e chiudere le porte, ecc.).
La nostra esperienza visiva è preceduta da una catena di eventi neuronali di varia natura, della maggior parte dei quali non ne abbiamo la minima consapevolezza.
Questa affermazione scientifica chiude definitivamente le porte ad ogni ipotesi cognitivista, allo stesso tempo, se non vogliamo tuffarci in un passato sterile ove l’inconsapevolezza era costituita da pulsioni biologicamente non definite, dobbiamo comprendere come, nel corso dello sviluppo ontogenetico, l’essere umano sviluppa le sue potenzialità visive.
Abbiamo ampiamente appurato che il processo percettivo visivo non rappresenta una fotografia del mondo reale. Questo perchè, per vari motivi, il cervello non potrebbe riprodurre, decodificando “istruzioni” dettagliate, l’oggetto visto. Infatti, la retina è bidimensionale, mentre NOI percepiamo l’oggetto separato dallo sfondo (ed i soggetti con disordine dello sviluppo neurologico?). Inoltre, l’immagine retinica cambia ogni volta che muoviamo gli occhi, il che si verifica anche quando tentiamo di guardare un oggetto fermo nel modo più fisso che possiamo. Infine, la forma dell’immagine retinica si distorce quando ci avviciniamo o ci allontaniamo dall’oggetto che stiamo guardando, eppure quest’ultimo non cambia forma o dimensione. Potremmo ancora aggiungere che, la quantità di luce che raggiunge la nostra retina dopo essere stata riflessa dall’oggetto cambia al variare dell’illuminazione, mentre l’oggetto non cambia di chiarezza e colore.
Dunque, l’immagine retinica non è statica, mentre vediamo gli oggetti stabili, unitari, completi, separati dallo sfondo, tridimensionali, posti ad una certa distanza, costanti in forma, colore e chiarezza. Pertanto, il cervello non fotografa gli oggetti.
In altri termini potremmo dire che, quando un oggetto viene “visto” è perchè dei raggi luminosi riflessi dall’oggetto (la luce è indispensabile quanto l’oggetto e quanto il soggetto affinchè si vede) hanno colpito il fondo dell’occhio (retina), dove specifici recettori hanno trasdotto lo stimolo in attività nervosa (impulsi elettrochimici). Quest’ultima, attraverso un lungo viaggio (vie e centri nervosi), raggiunge le cortecce visive e, dunque, vediamo l’oggetto, ma senza un Homuncolus posto nel nostro cervello specializzato nel “vedere”.
Ma cosa ci consente allora di vederlo?
E’ l’ESPERIENZA a trasformare l’esperienza, ovvero la “vista” dell’oggetto.
La percezione visiva del mondo è condizionata dall’esperienza del vedere.
A ben pensarci, le allucinazioni visive ed i sogni rappresentano la dimostrazione che il mondo visto fuori di noi è anche dentro di noi. Ma, quando vediamo una palla o un albero, questi non esistono nel nostro cervello come immagini, bensì come specifici circuiti neuronali, plasmati dall’esperienza.
L’attento studio dei soggetti con disordine dello sviluppo neurologico ci rivela che, quelli dai tecnici definiti deficit cognitivi, sono difetti percettivi (attività sensori-motoria o esperienza).
DIFETTI e non deficit, POICHE’ ANCHE UN ECCESSO DI PERCEZIONI (minore inibizione dei pattern neurologici situati nelle strutture cerebrali profonde) PROCURA DIFFICOLTA’.
Non si poteva fare uno scritto più semplice