Nell’ultimo articolo abbiamo visto che, durante il sonno, il cervello attivo da un punto di vista elettrico lavora in assenza di serotonina e noradrenalina che, invece, mediano lo stato di veglia, regolando alcune funzioni cerebrali fondamentali per il nostro comportamento, quali attenzione, memoria, autoriflessione, che, proprio per l’assenza dei due sistemi chimici, scompaiono durante i sogni.
Abbiamo appreso che, nel sonno REM il cervello, pur essendo attivato elettricamente come nello stato di veglia, presenta, come abbiamo visto, un profilo chimico molto differente. In effetti, in presenza di bassi livelli di serotonina e noradrenalina, un’altra sostanza chimica, l’acetilcolina, media l’asperienza onirica (nel sonno REM il cervello risulta essere altamente colinergico). Somministrando una microiniezione nella parte profonda del S.N.C. (ponte di Varolio) assistiamo al potenziamento delle onde PGO e successiva comparsa di sonno REM (una modifica chimica determina una modifica elettrica con consequenziale modifica dell’esperienza conscia).
Dunque, la nuova scienza del sonno ci mostra come il cervello modifica la propria chimica quando, durante il sonno, si auto-attiva. Inevitabilmente, le nostre abilità mentali (psicostato) si caratterizzeranno per la ricchezza di stimoli visivi, motori, emotivi, ma non potrà esserci memoria oppure capacità di focalizzare l’attenzione, ad ulteriore dimostrazione che, la mente (psicostato) esegue il programma del neurostato.
In ultima analisi possiamo affermare che, le neuroscienze attuali hanno definito, gli stati polari della coscienza, come la veglia ed il sogno, stati le cui differenze dipendono dalla chimica cerebrale. Fattori chimici, oltre alla disattivazione cerebrale selettiva che ne consegue, provocano cambiamenti capaci di modificare l’INTERA MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO E, DUNQUE, DELLA MENTE.
Come la ricerca scientifica, ha dimostrato che la fisiologia del sonno REM può essere alterata patologicamente dai processi neurodegenerativi specie in quelli ove è presente una caduta della dopamina, oppure quando si è fatto uso prolungato di SSRI (farmaci antidepressivi che bloccano la ricaptazione della serotonina), allo stesso tempo, sta cercando di comprendere le correlazioni tra lo stato di sogno e lo “stato psicotico”.
In fondo, più volte abbiamo sperimentato che, le percezioni generate dall’auto-attivazione cerebrale durante il sonno hanno potere allucinatorio, tale da renderci deliranti. Infatti, nel sogno, siamo convinti di essere svegli e crediamo alle nostre sensazioni, oltre che alle emozioni ad esse associate, nonostante la bizzarria onirica sia tale che, se si presentasse nella veglia, chiederemmo di “essere svegliati”.
A tal proposito, qualche studioso ha avanzato l’idea che, ogni notte impazziamo per non farlo di giorno (impedire di dormire, come ho scritto due articoli fa, determina l’incapacità di organizzare le funzioni corporee primarie e di essere cognitivi), mentre altri ritengono che, il sonno rappresenti, per il cervello, un modo per rinunciare ad alcuni suoi controlli (filtri fisiologici per l’attività sensori-motoria) per poterli poi riottenere, funzionali, al mattino.
Non vi sono dubbi (diagnostica differenziale) che i sogni, qualora dovessero essere visti come un quadro psicotico, non hanno molto in comune con la schizofrenia, nè con il disturbo bipolare, mentre somigliano molto ai deliri da droghe o da iperpiressia, oppure ai quadri degenerativi (Alzheimer).
Infatti, in questi quadri di “psicosi organica” (termine usato solo in maniera convenzionale poichè tutte le psicosi hanno una genesi biologica), come nei nostri sogni, i tempi, i luoghi, le persone, cambiano senza preavviso. I pazienti che ne sono affetti, come chi sogna, inventano storie che non sono “bugie” ma convinzioni erronee, a cui credono sinceramente, al fine di colmare i buchi di memoria. Pur sapendo chi sono, non sanno dove sono o che giorno è.
Prima di andare verso una conclusione che potrebbe rivoluzionare il modo di intendere i disordini del neurosviluppo ed i programmi terapeutici da applicare a questi pazienti, vorrei aprire una parentesi: nel grembo materno, alla trentesima settimana di gestazione, il feto umano trascorre quasi l’intera giornata in uno stato di attivazione cerebrale che costituisce un primo stadio del sonno REM. Alla nascita, il sonno dura circa 16 ore al dì, di cui, la metà, è REM. Perchè sono necessarie otto ore al giorno di attivazione automatica del cervello umano, senza che quel cervello abbia già maturato una consapevolezza?
I neuroscienziati non hanno dubbi, quell’attivazione cerebrale automatica è necessaria per sviluppare il cervello, al fine di diventare UN SOGGETTO CAPACE DI AGIRE IN MANIERA SEMPRE PIU’ EFFICACE E SEMPRE PIU’ CONSAPEVOLE DEL SUO ESSERE INDIVIDUO.
Il sonno REM è lungo nei neonati poichè, in quanto mediatore dell’attivazione corporea endogena (interocezione), il sistema dell’acetilcolina si sviluppa prima dei sistemi della serotonina e della noradrenalina (andranno a modulare la relazione con l’ambiente esterno durante la veglia).
Il sonno non è mai una perdita di tempo (concetto radicato nella nostra cultura), esso è essenziale alla vita per un’infinità di funzioni, tra cui quella di consentire l’organizzazione neurologica dei circuiti che garantiranno il SENSO DEL SE’.
E’ proprio quest’ultimo aspetto (di certo non ultimo) a rendere estremamente interessante lo studio del sonno correlato ai disturbi dello spettro autistico o, meglio ancora, alle patologie del neurosviluppo.
Nel prossimo articolo vedremo come, con le neuroimmaging, sono state mappate le aree del cervello che dorme e che sogna, oltre che della veglia. Vedremo come, durante il sogno, si verifica una disincronizzazione tra i circuiti visivi (iperattivi) e quelli prefrontali dorsolaterali (inibiti), inotre, si verifica la disinibizione dei programmi senso-motori da parte dei sistemi aminergici (per caduta di serotonina e noradrenalina ), oltre che un’iperattività delle strutture limbiche.
Lo studio del sonno ci riporta necessariamente alle strutture cerebrali più profonde (tronco cerebrale) ed a sistemi chimici tronco-encefalici (neuromodulatori).
In un preciso momento storico (si sta mettendo in discussione la validità di un approccio cognitivo/comportamentale in pazienti giovanissimi (18-48 mesi di vita), non comprendere la genesi dei disordini clinici dell’autismo, porterebbe a sperimentare strade terapeutiche non coinvolte primariamente nel quadro sindromico (es. l’uso della TMS )ed a non considerare che solo attraverso patterns motori si possono “abilitare” le strutture neuronali profonde (primariamente coinvolte nella disorganizzazione neurologica del soggetto con autismo).
Poco più di cento anni fa, un neurologo (Freud), attraverso l’analisi del sogno, sognò di curare quadri clinici.
Oggi, un altro neurologo (l’autore del blog) sta sognando che, attraverso lo studio neurofisiologico dei sogni, si possa comprendere DOVE (quali aree cerebrali) ha inizio la disorganizzazione neurologica nei disturbi dello spettro autistico, al fine di proporre terapie neuroriabilitative più “appropiate”.
Nel prossimo articolo cercherò di essere meno confabulatore (sogno) e più lucido (veglia).
Sempre molto interessante, coinvolgente e puntuale. Grazie