In un bellissimo libro, “Mi ritorno in mente”, Edoardo Boncinelli ci ricorda che l’uomo è l’unico essere che dice “IO” e che, forse, è capace di pensare “IO”.
Tutti parliamo dicendo “io”: “io dico, io faccio, io penso”, ben consapevoli di cosa stiamo dicendo.
QUESTO “IO” VIVE CERTAMENTE NEL MONDO, NEL MIO CORPO, CON IL MIO CORPO.
Negli ultimi articoli abbiamo trattato a lungo del tronco encefalico e dello sviluppo dell’io, a partire dall’esigenza del proprio corpo di difendere la sua omeostasi, servendosi dell’io.
Sui rapporti con il mondo, al momento, mi limito a dire che questo costituisce uno degli ossi più duri da digerire: che IO l’osservi o meno, il mondo va avanti e segue un suo cammino coerente e concepibile (realismo).
In questo e nel prossimo articolo scriverò sui rapporti tra “IO” con il mio corpo.
Quando si forma, l’assone di ogni cellula nervosa, è sempre amielinico (non rivestito dalla guaina mielinica). Questo rivestimento (apprendimento) richiederà giorni, mesi, anni.
La principale differenza tra un cervello in corso di sviluppo ed un cervello adulto sta nel fatto che, il primo cervello presenterà assoni neuronali senza mielina o rivestiti solo parzialmente, pertanto, i segnali nervosi o potenziali d’azione viaggeranno molto più lentamente e le varie aree cerebrali risulteranno poco collegate o scarsamente integrate.
Dunque, siccome quello che mi è successo fino ad oggi ha plasmato l’architettura complessiva delle mie sinapsi, ha forgiato anche la MIA MENTE, poichè, per le moderne neuroscienze, l’insieme di questi segnali che vanno e che vengono costituisce l’attività nervosa, ovvero la mente.
In altri termini, e facendo fede a quello che più volte ho ribadito negli articoli del blog, possiamo affermare che, tutto ciò che apprendiamo si risolve in una modificazione complessiva dell’architettura sinaptica del nostro Sistema Nervoso (organizzazione neurologica),in quanto la circolazione dell’attività nervosa è indissolubilmente condizionata dalla struttura nervosa, oltre che dalla forza delle sinapsi che determinano la struttura.
Ne consegue che il passato influenza più o meno direttamente il funzionamento di tutto il cervello dell’individuo e, dunque, dell’IO.
Quanto scritto ci fa comprendere quanto sia importante la MEMORIA in tutto ciò che facciamo.
Senza memoria non saremmo in grado di riconoscere oggetti, parlare, leggere, orientarci nello spazio/tempo, essere “animali sociali”, ovvero intrattenere quel tipo di relazione interpersonale.
Per il famoso neuroscienziato Michael Gazzanica, fatta eccezione per il sottile confine del presente, tutto nella vita è memoria.
Di sicuro, la nostra memoria è personale, estremamente intima o interna, senza la quale non saremmo in grado di compiere atti esterni (comportamenti).
Gli studi scientifici moderni sulla memoria iniziarono a metà del secolo scorso. Poco dopo (anni settanta ed ottanta), i ricercatori scoprirono qualcosa di estremamente interessante per poter comprendere i “disordini delle memorie nei soggetti con neurosviluppo atipico”, non ancora divulgato e, dunque, non ancora messo a servizio di questa popolazione di persone.
In quegli anni, i ricercatori scoprirono che le persone, contrariamente a quanto pensato, possiedono dei ricordi molto scarsi per oggetti a loro molto familiari, come ad esempio per le monete e banconote, oppure, come quando cerchiamo di ricordare come vestono colleghi di lavoro o amici.
In questi studi, risultiamo essere molto bravi a ricordare alcune informazioni a discapito di molte altre.
Ad esempio, siamo bravi a ricordare le misure standard, le dimensioni o il colore delle banconote, piuttosto che l’eventuale direzione del volto inciso su di esse (anche l’eventuale testo scritto su di esse). Questo appare ovvio se pensiamo che, per l’USO o MANEGGIAMENTO che facciamo dei soldi, misure, colore e dimensioni delle banconote hanno maggiore importanza rispetto ad altri dati. Allo stesso tempo, quando ricordiamo gli amici, di solito “CI RITORNANO ALLA MENTE” i loro volti, oltre a quelle caratteristiche distintive più utili per identificarli, piuttosto che il colore della camicia o dei pantaloni, gli orecchini o il tipo di occhiali, oppure la lunghezza dei capelli, ovvero quelle cose che possono cambiare.
La memoria, pur ricoprendo un ruolo fisso e fondamentale nell’ambito dell’apprendimento, “registra” solo una parte relativamente piccola degli eventi della nostra vita, che si abbia o meno intenzione di apprendere.
E’ come se, per la maggior parte del tempo semplicemente dovessimo vivere, consapevoli che, se nel corso della nostra giornata dovesse accadere qualcosa di importante (nel passato evolutivo poteva essere associato ad una minaccia o ad una ricompensa), allora si innescherebbero dei processi neuronali che ci consentirebbero di ricordare piuttosto bene l’evento.
Pertanto, la memoria non dipende dall’intenzione di ricordare gli eventi passati; è sufficiente che questi ultimi entrino in quella mappa globale (Edelman) o nello spazio di lavoro (Baars e Changeux) che andranno ad influenzare i nostri pensieri, sentimenti o comportamenti, facendoci provare che abbiamo memoria.
Nel prossimo articolo scopriremo che, non solo la memoria non rappresenta una copia veritiera della realtà, ma come sia sbagliata la nostra personale impressione di averne una “buona” o una “cattiva”.
Infatti, negli ultimi cinquant’anni, numerose ricerche hanno mostrato che la memoria si separa in componenti multiple e distinte.
Questo grazie a studi condotti su soggetti cerebrolesi (il primo studioso a dare un grosso contributo di conoscenza in questo ambito, sostituendo il termine di deficit della memoria con quello di disordine delle memorie fu Lurja).
Approfondire questi concetti ci consentirà di comprendere meglio alcune abilità ed alcune difficoltà di memorie manifeste nei soggetti autistici, in termini fisiopatologici o biologici, liberandoci dalle interpretazioni personali sulla questione.