Chiunque voglia prendersi cura di soggetti con disordine dello sviluppo neurologico deve necessariamente comprendere i meccanismi di plasticità cerebrale e, inoltre, conoscere i principi in base ai quali la corteccia cerebrale si riorganizza dopo un evento patogeno.
La biologia evolutiva ci ha fatto comprendere che il cervello si è evoluto per modificarsi quando dall’esterno (ma anche dall’interno del corpo) giungono stimoli opportuni, al punto tale che, tutte le parti del cervello si modificano e si rinnovano senza sosta nel corso della vita (l’esperienza può modificare le funzioni cerebrali e, dunque i nostri comportamenti).
Poichè ogni persona è soggetta ad esperienze differenti, l’organizzazione e la struttura del cervello di ognuno sarà differente.
Questo sarebbe già sufficiente a spiegare le nostre individualità comportamentali, infatti, anche due gemelli omozigoti (possiedono lo stesso patrimonio genetico) manifesteranno abilità e comportamenti differenti.
Dunque, nel corso del processo di apprendimento il cervello subisce delle modifiche strutturali e funzionali.
Negli ultimi anni le neuroscienze hanno svelato alcuni misteri sul come biologicamente si modifica il nostro cervello (plasticità neuronale), ed hanno demolito qualche dogma: “il periodo critico della plasticità neuronale”non è confinato nei primi anni di vita.
Negli anni in cui mi formavo quale neurologo (anni ottanta del secolo scorso), mi insegnavano che il Sistema Nervoso dei mammiferi, primati compresi, potesse modificarsi solo durante il “periodo critico” (variava da specie a specie, ma era sempre confinato in un limitato periodo dello sviluppo).
Questo dato non spiegava quanto riportato dalla psicologia sperimentale: gli animali sono capaci di apprendere e memorizzare nuove esperienze anche in età adulta. D’altronde, tale proprietà, stando alla base delle loro capacità adattive, rappresenta la finalità naturale dei Sistemi Nervosi.
Era inevitabile che i neuroscienziati si chiedessero come l’apprendimento (processo mediante il quale acquisiamo nuove informazioni) e la memoria (processo mediante il quale manteniamo le nuove informazioni) potessero aver luogo qualora il Sistema Nervoso avesse perso, in un’epoca precoce del neurosviluppo, la proprietà di essere plastico (substrato non modificabile nella struttura e, dunque, nella funzione).
Nei laboratori scientifici di ogni angolo del pianeta si intrapresero studi e ricerche, grazie alle quali si comprese che il cervello non raggiunge “MAI”un’ organizzazione stabile e, pertanto, in nessuna epoca della vita non è più modificabile.
Inoltre, si capirono i meccanismi cellulari che stanno alla base della plasticità cerebrale, ovvero si comprese come si modifica strutturalmente il cervello quando apprende.
Grazie agli studi di Merzenich si dimostrò come il cervello si modifica, non solo nel corso del fisiologico processo di apprendimento (esperimento fatto sui violinisti), ma, soprattutto, quando l’attività sensoriale afferente viene modificata in seguito ad un danno ai recettori sensoriali periferici (si esaminò la rappresentazione della mano nell’area somatosensoriale della scimmia, dimostrando che tale area può essere modificata in animali adulti in seguito all’amputazione di una delle dita di una mano).
Tutte le ricerche condotte in questo settore, negli ultimi quarant’anni, hanno definitivamente confermato che il cervello non deve essere pensato come un insieme di moduli aventi specifiche funzioni prestabilite e plastici solamente nei primi anni di vita (ad esempio, nel cervello c’è un modulo del linguaggio plastico nei primi tre anni, durante i quali apprenderò l’italiano piuttosto che lo spagnolo), ma va considerato come un insieme di aree dinamiche che, sia al loro interno che tra di loro, vengono continuamente modellate dall’esperienza sensoriale o apprendimento.
Lo studio sperimentale che più ci aiuta a comprendere questo nuovo modello del cervello è quello fatto sulle vibrisse dei ratti.
Per i ratti, insieme ai recettori olfattivi e gustativi, le vibrisse o baffi rappresentano gli organi sensoriali più importanti (questo perchè vivono in ambienti poco illuminati, ove le informazioni olfattive e tattili sono fondamentali per la sopravvivenza). Analogamente a quanto accade nell’uomo per le mani, nei ratti la rappresentazione corticale della regione dei baffi (vibrisse) occupa un’area molto più estesa di quella occupata dal restante corpo.
Dal 1970, inoltre, sappiamo che l’organizzazione delle fibre nervose che dal talamo vanno alla corteccia somatosensoriale (IV strato) nei roditori è simile a quella dell’uomo.
Nel caso dei ratti, ogni colonna corticale riceve le informazioni di una singola vibrissa (vibrissa principale). Inoltre, ciascuna colonna corticale riceve afferenze dalle vibrisse adiacenti specie tramite connessioni intracorticali (organizzazione somatotopica).
Appaiando i baffi ai ratti si possono studiare, attraverso microelettrodi, i notevoli cambiamenti nella distribuzione di attività corticale registratisi dopo soli tre giorni. Infatti, nei ratti normali la stimolazione di una vibrissa evoca un’onda di attività che trova la sua massima espressione nella colonna corticale corrispondente e che diminuisce di intensità via via che ci si allontana. Invece, nei ratti con vibrisse appaiate l’attività, indotta dalla deflessione di una vibrissa appaiata, si diffonde in una estesa porzione di corteccia cerebrale.
Siccome il cambiamento di attività è rapido (lo si può osservare anche dopo pochi minuti), i ricercatori hanno, dapprima ipotizzato, e successivamente dimostrato che alla base di queste modifiche (plasticità) dovevano esserci cambiamenti “funzionali” delle sinapsi, prima che “strutturali”(richiedono sintesi di nuove proteine e, dunque, meccanismi di epigenesi).
Infatti, hanno dimostrato che, alla base della riorganizzazione cerebrale susseguente all’appaiamento delle vibrisse, vi era, nelle primissime fasi, la DIMINUIZIONE DELLA FUNZIONE INIBITORIA nella zona della corteccia corrispondente alle vibrisse appaiate.
E’ come se, I TERRITORI DEPRIVATI VENISSERO INVASI DA QUELLI ATTIVI.
Tutti questi studi sulla plasticità neuronale, in effetti, non fanno altro che mostrare come un’alterazione del normale flusso di informazioni sensoriali può modificare la struttura anatomica e fisiologica del cervello.
La moderna psicologia ci invita, giustamente, a comprendere il comportamento umano in maniera OLISTICA (relazione tra corpo/cervello/ambiente).
Occuparsi di autismo significa mettere in primo piano le alterazioni strutturali e fisiologiche del cervello, come queste alterano il normale flusso di informazioni sensoriali e, successivamente, come quest’ultimo aspetto condiziona la dinamica RIORGANIZZAZIONE CEREBRALE O PROCESSO DI APPRENDIMENTO.