Di sicuro, negli organismi viventi più semplici, che per tre miliardi di anni hanno popolato la terra da soli, non esisteva un sistema nervoso, mentre esistevano i precursori degli organuli che popolano il citoplasma interagendo tra di loro, ed esisteva una membrana cellulare.
Cinquecento milioni di anni fa comparvero le prime cellule nervose organizzate in reti (sistema nervoso).
In origine le reti erano molto semplici, simili a quelle della formazione reticolare del tronco cerebrale.
La loro funzione principale era quella di modulare la digestione, al fine di garantire l’omeostasi.
In effetti, come ricordato più volte negli ultimi due articoli del blog, gli organismi semplici possedevano già un complicato sistema omeostatico diretto a procurare e ad incorporare energie, a trasformarle, ad eliminare lo scarto, ad autoripararsi. Quando un danno comprometteva l’integrità dell’organismo, grazie al rilascio di specifiche molecole e di movimenti protettivi, l’organismo riusciva a conservare la sua integrità.
In altri termini possiamo dire che, un sistema immunitario innato ha abbondantemente preceduto, sia il sistema nervoso e, dunque, le menti, che il sistema immunitario adattivo, presente in tutti i vertebrati.
Anche il sistema immunitario adattivo ci difende dal pericolo di agenti patogeni, oltre che dal danno da loro provocato. Esso, inltre, può essere selezionato e fortemente potenziato dall’ambiente.
Oggi abbiamo definitivamente compreso che, i segnali chimici e viscerali del nostro corpo usano il SISTEMA NERVOSO PERIFERICO per accedere dal corpo al cervello al fine di mantenere nei limiti della vita proprio quei parametri chimici e viscerali, per la cui tutela, in origine, vi era il sistema immunitario. Quest’ultimo, con la comparsa dei sistemi nervosi, non ha rinunciato alla sua funzione d’origine, anzi, si è ulteriormente perfezionato (adattivo), al fine di cooperare sempre meglio con il sistema nervoso a difesa del bene più prezioso: la vita dell’intero organismo.
Corpo-cervello-sistema immunitario vanno a formare una singola unità organismica.
A differenza di quando percepiamo un volto o un sapore, o di quando percepiamo un suono o un particolare odore, quando “percepiamo” lo stato di salute del nostro corpo (benessere/malessere) viene a cadere qualsiasi dualità percepiente-percepito.
Benessere/malessere rappresenta quanto, in termini di psicostato o mentale, esprime l’unità corpo-cervello-sistema immunitario.
Ed è proprio lo studio del dolore ( siamo partiti dal comportamento estremamente atipico e pericoloso di Mattia descritto nel penultimo articolo del blog) che ci consente di spiegare, in termini adattivi, alcuni comportamenti anomali abbastanza frequenti nei disturbi dello spettro autistico (autolesionismo) e di comprendere queste nuove conoscenze.
Di solito, si prova dolore quando una noxa patogena interna oppure un taglio esterno producono una ferita.
In termini di organizzazione anatomica e funzionale della rete vi è una sostanziale differenza.
Infatti, quando la ferita è interna, i segnali verso il sistema nervoso centrale vengono trasmessi da fibre (fibre C) evolutivamente più antiche e prive di mielina (condizione anatomica) pertanto, la capacità di localizzare il dolore è scarsa (condizione fisiologica).
Invece, quando la ferita è provocata da una causa esterna (taglio, trauma), i segnali verso il sistema nervoso centrale vengono trasmessi da fibre mielinizzate, evolutivamente recenti, che contribuiscono ad un dolore netto e, soprattutto, ben localizzato.
Negli anni, la psicologia si è molto concentrata sul “sentimento” del dolore e sull’aspetto “empatico”, mentre è stato trascurato un aspetto biologico estremamente interessante al fine di una migliore comprensione di alcune severe anomalie comportamentali.
Non è possibile, in natura, provare dolore senza che la ferita (interna o esterna che sia) determini reazioni immunitarie e neurali locali.
Queste reazioni includono una vasodilatazione locale ed un afflusso abbondante di globuli bianchi (leucociti) verso la parte del corpo interessata dal danno.
Infatti, siccome le cellule del corpo (visceri o cute) danneggiate rappresentano un buon nutrimento per gli agenti infettivi, attraverso un maggior afflusso di sangue, arrivano sul posto cellule capaci di prevenire o combattere infezioni, oltre che di rimuovere il tessuto danneggiato (fagocitosi).
La RICERCA SCIENTIFICA ci ha consentito di conoscere che, il lavoro di prevenzione o cura dell’infezione da parte dei globuli bianchi viene svolto grazie al rilascio di una molecola, evolutivamente molto antica (PROENCEFALINA), la quale, scissa localmente in due composti entrambi attivi, fungerà da antibiotico (un composto) e da antidolorifico (con il secondo composto, il quale è un oppioide analgesico capace di legarsi ai recettori oppioidei localizzati nelle terminazioni nervose locali). Il rilascio e la captazione dell’oppioide RIDUCE IL DOLORE E L’INFIAMMAZIONE, garantendo l’omeostasi (COOPERAZIONE NEUROIMMUNITARIA).
Le NEUROSCIENZE ATTUALI, inoltre, ci hanno consentito di conoscere che, nelle cortecce cerebrali si formano mappe neuronali (neurostati), sia delle modifiche che ha subito l’area del corpo danneggiata (da queste mappe si genera il sentimento di dolore), sia della SEQUELA DI AZIONI DALL’ORGANISMO MESSE IN ATTO (COMPORTAMENTO) in seguito alla ferita.
Gli organismi complessi, quali l’uomo, traducono, spontaneamente, queste mappe in immagini (neurostato/psicostato).
La capacità di generare immagini della propria risposta motoria garantisce, a chi lo ha eseguito (nel nostro caso Mattia), che il comportamento adottato non passi inosservato.
Perchè Mattia (adolescente con diagnosi di disturbo dello spettro autistico) talvolta senza nessun motivo apparente, “sbatte” la testa sulle pareti, provocando sconforto nelle persone accanto a lui?
Non penso di avere una risposta precisa, nè potremmo averla senza conoscere tutta la storia di Mattia.
Quello che, attraverso il blog “autismo fuori dagli schemi”, voglio provocare è, senz’altro, un “sentimento” di rifiuto verso le vecchie risposte cognitiviste.
Mattia non assume questo comportamento perchè è autistico (altrimenti dovremmo spiegare perchè un autistico lo fà).
Nè, tantomeno, Mattia necessita di ulteriori etichette (autolesionista).
Mattia non sta mettendo in atto un comportamento problema (il problema ce l’ha chi usa questa definizione per descrivere i comportamenti atipici ed adattivi dei soggetti autistici).
Mattia sta mettendo in atto un comportamento adattivo: DEVE RIEQUILIBRARE L’OMEOSTASI.
Perchè proprio attraverso un comportamento che, paradossalmente, provoca uno squilibrio omeostatico (ferita o trauma)?
E’ proprio tale domanda a dare un “fascino scientifico” assoluto al comportamento di Mattia.
Possiamo ipotizzare che sta tentando di riassegnare una priorità alle submodalità tattili (basterebbe studiare la teoria del cancello a proposito sia delle percezioni che, nello specifico, del dolore).
Oppure, possiamo ipotizzare che Mattia sta assumendo un comportamento adattivo capace di “sfruttare” i fondamenti delle “informative associate” (chi si occupa di terapie del dolore conosce bene che l’ingegneria biomedica ha dotato i professionisti di dispositivi, quali la scrambler therapy, che utilizzano alcune proprietà anatomiche e fisiologiche delle vie dolorifiche per indurre analgesia).
Oppure, Mattia con il suo comportamento sta provocando l’attivazione delle fibre dolorifiche mielinizzate (più veloci), al fine di mascherare un dolore interno, più intenso, trasmesso dalle fibre C (amieliniche e, dunque, lente).
O, ancora, Mattia sta inducendo, con il suo comportamento, una maggiore produzione di oppioidi locali, per lenire un “dolore di sottofondo”. Non dobbiamo mai dimenticare che Mattia, in quanto autistico e , dunque, dispercettivo, manifesta una elevata soglia per il dolore.
Oppure, può esserci un’altra spiegazione che io non so dare o, addirittura, la spiegazione potremmo ricercarla in un’altra condizione regolata dal processo evolutivo. Infatti, le strutture che trasmettono informazioni dal corpo al cervello sono molto antiche al punto che, parte di questo processo non è nemmeno neurale, bensì umorale. Questo grazie a molecole chimiche che viaggiando nei capillari sanguigni possono informare direttamente specifiche aree del cervello su aspetti dello stato di emostasi.
Ma questo richiede una buona comprensione della barriera emato-encefalica( drammaticamente del tutto trascurata nella clinica delle patologie del neurosviluppo) cosa che tratterò nel prossimo articolo.
Bisogna necessariamente proseguire, con entusiasmo ed impegno, la ricerca lungo la strada della neurobiologia evolutiva.
Penso che lo dobbiamo a Mattia, alla sua famiglia, e ad una folta popolazione di ricercatori scientifici che ci stanno fornendo sempre più informazioni per renderci dei clinici migliori.