Non sono venuto qui “ a pettinar bambole”.
E’ una frase detta da Carlo Ancelotti (allenatore della squadra di calcio del Napoli), circa un anno fa, alla sua presentazione.
E’ sufficiente possedere neuroni specchio per comprendere le intenzioni del “famoso” mister?
A trent’anni circa dalla scoperta dei neuroni specchio, importanti studi sulle loro proprietà biologiche potrebbero farci comprendere il meccanismo fisiopatologico alla base di alcune difficoltà evidenti nei bambini con disturbo dello spettro autistico?
Tra il 1980 ed il 1990 abbiamo iniziato a conoscere meglio l’anatomia del nostro S.N.C., con conseguente acquisizione di nuove conoscenze sul come funziona il nostro cervello.
Abbiamo conosciuto che la corteccia motoria non è formata da due aree (MI e SMA), bensì formata da una costellazione di regioni diverse, da una molteplicità di mappe funzionalmente distinte e localizzate in varie aree.
Fino ad allora, le neuroscienze avevano ritenuto che i fenomeni sensoriali, percettivi, motori e motivazionali, fossero ripartiti in aree corticali nettamente distinte (aree sensoriali, aree motorie, aree motivazionali e cognitive).
Al sistema sensoriale veniva assegnato il compito di analizzare, in maniera grezza, i primi dati della percezione, mentre al sistema motorio veniva attribuito il ruolo esecutivo.
Pertanto, le neuroscienze erano concentrate sul tentativo di comprendere come e dove pensiero e percezione smettevano di essere tali e diventavano movimento.
Oggi sappiamo che la corteccia frontale agranulare (le vecchie aree motorie) risulta formata da sette aree, differenti dal punto di vista anatomico, convenzionalmente identificate con la lettera F seguita da un numero (da 1 a 7).
Negli anni ottanta dello scorso secolo, il neuroscienziato italiano Giacomo Rizzolatti studiò a fondo l’attività delle cellule nervose in una di queste aree, con la precisione l’area F5, nel macaco.
All’epoca, s’iniziava a conoscere che i neuroni di quest’area erano necessari per accadere all’informazione visiva e, dunque, di consentire all’organismo, non solo di raggiungere l’oggetto ma, anche, di afferrarlo.
L’attività di queste cellule nervose veniva registrata mentre il macaco eseguiva liberamente azioni di vario tipo: prendere un pezzetto di cibo, tenerlo in mano, portarlo in bocca, rompere una nocciolina, allontanare un oggetto.
Per mezzo di registrazioni di singoli neuroni di F5, si dimostrò che la maggior parte delle cellule nervose di tale area si attivava selettivamente durante la produzione di specifiche azioni.
Si osservò che alcune cellule nervose di F5 rispondevano solo nel corso di azioni di prensione, altri neuroni si attivavano quando il macaco teneva in mano l’oggetto, altre cellule nervose si attivavano quando l’animale rompeva l’oggetto, e così via.
Anche il profilo temporale di attivazione poteva variare da neurone a neurone, con alcune cellule nervose che si attivano durante l’ultima fase dell’azione di prensione (flessione delle dita), altri che rispondevano all’apertura della mano e continuavano a farlo fino alla sua chiusura, altri neuroni iniziavano a rispondere ancora prima che la mano iniziasse a muoversi.
Dunque, dagli studi emergeva che, l’attivazione dei neuroni di F5 risultava dipendere, non dai muscoli implicati nell’azione, ma dallo scopo dell’azione che il macaco doveva compiere.
Per questo motivo, le neuroscienze hanno affermato che i neuroni di F5 possiedono una proprietà funzionale: durante l’esecuzione di una data azione (es. afferrare un bicchiere), l’attivazione dei neuroni di F5 rappresenta lo scopo cui questa azione appare diretta, e non semplicemente questo o quel singolo movimento che concorre al raggiungimento di quello scopo.
Successivamente, con il prosieguo degli studi, veniva scoperta una seconda proprietà fisiologica dei neuroni di F5: una parte delle cellule nervose di F5 che rispondevano durante l’esecuzione di un’azione (prendere un bicchiere) rispondevano anche alla semplice presentazione di quel bicchiere.
Con il termine di neuroni canonici si definirono quelle cellule nervose caratterizzate da risposte motorie e visive congruenti.
Nei laboratori dell’Università di Parma, per casualità, capitò che lo sperimentatore eseguì, di fronte al macaco, azioni non dissimili da quelle che l’animale era solito compiere (rompere noccioline per mangiarle).
Grazie a tale casualità e per mezzo di importantissime ricerche è stata scoperta una terza proprietà fisiologica: una porzione dei neuroni di F5 rispondeva durante l’esecuzione di un’azione di un certo tipo e rispondeva anche quando il macaco osservava lo sperimentatore compiere quel tipo di azione (neuroni specchio).
Studi successivi, non solo hanno confermato questa importantissima scoperta, hanno anche dimostrato che neuroni specchio, come i neuroni canonici, sono presenti in una moltitudine di aree motorie e non solo.
Oggi, grazie a ricerche effettuate negli ultimi trent’anni, sappiamo che neuroni specchio, oltre che in tutte le aree motorie (in piccola percentuale anche in F1), sono presenti nel lobulo parietale inferiore, nell’area intraparietale ventrale (VIP) e nell’area intraparietale laterale (LIP), nella corteccia somatosensoriale e nel lobo prefrontale.
Nell’uomo sono stati trovati neuroni specchio nell’insula (disgusto), nell’amigdala (paura), nella corteccia del cingolo (riso).
Inoltre, neuroni con proprietà specchio sono stati individuati nella corteccia frontale della marmosette (scimmie separatesi evolutivamente dalle altre scimmie più di 50 milioni di anni fa, hanno una corteccia senza solchi, osservate mentre mangiano o vedono mangiare una banana), in un nucleo del telencefalo del passero di palude, nell’ipotalamo di ratti e pipistrelli.
Dunque, le neuroscienze ci hanno fatto conoscere che nel nostro cervello molte aree risultano fortemente connesse tra di loro, dando origine ad un insieme di circuiti, ciascuno dei quali concorre ad elaborare, secondo le proprie caratteristiche funzionali specifiche, l’informazione concernente una data azione (prendere un bicchiere per bere, per spostarlo, per gettarlo) sia essa compiuta in prima persona o osservata compiere da qualcun altro.
Adesso, da parte delle neuroscienze, non resta che rispondere ad un ultimo quesito: com’è possibile che neuroni motori che rappresentano possibili scopi d’azione rispondano quando un’azione è osservata invece che eseguita?
Una prima risposta potrebbe essere che: la rappresentazione motoria di uno scopo (prendere il bicchiere) genera nel cervello di chi agisce tutta una serie di anticipazioni sensoriali circa la posizione e la configurazione della mano nelle varie fasi di raggiungimento e di prensione. La visione della propria mano nelle posizioni e configurazioni effettivamente assunte durante l’esecuzione dell’atto di prensione fornisce all’agente un feed-back essenziale per il controllo on-line dell’azione. La funzione primaria di una parte dei neuroni di F5 sarebbe stata proprio quella di elaborare i feed-back visivi relativi a questa o quella configurazione della mano, rendendo così i movimenti da compiere appropriati al tipo di prensione e alla diversa fase dell’esecuzione.
Una seconda risposta potrebbe essere che: la proprietà specchio sarebbe il risultato di un meccanismo di apprendimento associativo di tipo hebbiano, basato sul principio per cui l’attivazione simultanea di due neuroni rafforzerebbe la loro connessione.
L’anatomia ci ha mostrato che i neuroni F5 sono fortemente connessi con quelli del lobulo parietale inferiore, a loro volta iperconnessi con quelli del solco temporale superiore. E’ possibile che tali connessioni siano, alla nascita, in larga parte aspecifiche. Pertanto, possiamo ipotizzare che, nei primi tre mesi di vita, l’esecuzione e l’autoosservazione ripetute di movimenti di braccia e mani creino i prerequisiti dell’associazione di tipo hebbiano tra neuroni motori e neuroni visivi, cominciando a rendere le connessioni tra questi neuroni selettive e funzionali. A 5-6 mesi i cuccioli d’uomo iniziano a raggiungere e ad afferrare oggetti intorno a loro. Più tardi (12-14 mesi), con la progressiva maturazione delle vie cortico-spinale, esibiranno una certa destrezza nella prefigurazione della presa e nella manipolazione, arrivando a prendere in maniera sempre più precisa. La maturazione delle aree premotorie e motorie comporterebbe la comparsa di neuroni con proprietà funzionali specifiche oppure il raffinamento delle proprietà funzionali di neuroni già selettivi verso un certo tipo di scopo d’azione.
TALE MATURAZIONE AVREBBE COME EFFETTO ANCHE UNA PROGRESSIVA MODULAZIONE DELLE AREE VISIVE.
Chiunque abbia esperienza con bambini affetti da disturbo dello spettro autistico comprende che siamo entrati nel cuore del “problema autismo”.
Non sono venuto a pettinar bambole.
Chi, oltre ad avere determinati neuroni, grazie all’esperienza è dotato anche di specifici circuiti, comprende che il mister è venuto per vincere.
Gli studi di Rizzolatti confermano che l’apprendimento o esperienza è il processo di sincronizzazione delle cellule nervose.
Il “miracolo”, sta in questo processo, non nel possedere o meno “particolari neuroni”.