Emiliano Bruner è un paleo-neurobiologo ed è direttore del gruppo di ricerca in paleo-neurobiologia del Centro Nazionale di Ricerca sull’Evoluzione Umana a Burgos (Spagna), oltre ad essere professore presso il Centro di Archeologia Cognitiva dell’Università del Colorado (U.S.A.).
Nel mese scorso (novembre 2019) ha pubblicato un interessantissimo articolo sulla rivista Cerveaux & Psyco dal titolo “Il lobo che ci ha resi umani” facendo riferimento al lobo parietale, specie la parte inferiore, ed al ruolo di questa parte della nostra corteccia cerebrale nel garantirci di organizzare la cognizione (biocognitivismo).
Con le lettrici ed i lettori del blog “autismo fuori dagli schemi” vorrei sottolineare alcuni punti dell’articolo del professor Bruner al fine di una migliore comprensione della patogenesi di molte anomalie cliniche presenti nei soggetti con disturbo dello spettro autistico.
Pur occupando, ciascun lobo parietale, un volume intorno ai 130 centimetri cubici e, dunque, rappresentando all’incirca il quarto di ciascun emisfero cerebrale, molti neuroscienziati, nel corso dei decenni passati, si sono disinteressati al loro studio, concentrandosi maggiormente su altre aree corticali (es. lobi frontali).
Eppure, l’anatomista-antropologo Raymon Dart (1893-1988), amico e collaboratore del mio maestro Carl H. Delacato, già negli anni XX del secolo scorso aveva rilevato che il passaggio dalle grandi scimmie ai nostri più vicini antenati (Australopitechi) era dovuto all’espansione del lobo parietale.
Inoltre, grazie alle ricerche effettuate da studiosi dell’Istituto di Antropologia Evoluzionistica Max Planck di Lipsia, si è scoperto che nell’uomo, il lobo parietale si estende durante il primo anno di vita, quando il cranio prende la forma rotonda tipica della nostra specie, mentre questa fase di crescita non esiste nelle scimmie e nei Neandertaliani.
Dunque, l’espansione nel corso delle primissime fasi del neurosviluppo dei lobi parietali è esclusiva dell’ Homo Sapiens.
Gli anatomisti ci hanno fatto conoscere che il lobo parietale si divide in due macroaree: regione superiore e regione inferiore.
Da tempo, i fisiologi ci hanno fatto conoscere che le aree della regione inferiore svolgono un ruolo importantissimo nello sviluppo del linguaggio e nell’apprendimento dell’aritmetica.
Fino ad un recente passato, poco si conosceva sulle funzioni della parte superiore del lobo parietale, questo anche in relazione al maggior ripiegamento della corteccia cerebrale in questo luogo e, dunque, alle lacune anatomiche (un approccio biologico evolutivo alla clinica del neurosviluppo atipico è sempre relativo all’anatomia e fisiologia del Sistema Nervoso).
Oggi, gli anatomisti ci hanno fatto conoscere bene due aree situate nel lobo parietale superiore: il precuneo ed il solco intraparietale.
E’ sull’anatomia e fisiologia di queste due aree, in special modo sul ruolo svolto da tali funzioni nel processo di apprendimento umano, che si è soffermato Bruner nell’articolo in oggetto.
E’ su questo e sulla disorganizzazione di queste aree corticali, oltre che sulle proposte terapeutiche che da tali considerazioni dovrebbero generare, che io vorrei richiamare l’attenzione di chi segue questo blog.
Bruner, nel suo articolo, evidenzia che il precuneo è la struttura cerebrale che più varia tra gli individui. Particolari studi attraverso Risonanza Magnetica mostrano che la morfologia ed il volume del precuneo cambiano da persona a persona. Sovente, anche i solchi che lo invadono differiscono.
Un danno in questa area (ad es. dopo infarto cerebrale) altera la percezione del corpo oltre che dello spazio, pertanto, i pazienti non riusciranno più ad afferrare un oggetto nè a coordinare i movimenti delle loro mani (danno dissociativo).
I lettori del blog, ormai sanno bene che, nelle condizioni disorganizzative (es. autismo) i bambini hanno difficoltà nell’impugnare un oggetto (penna, tazza, posata, ecc.) e nel coordinare i movimenti delle loro mani (pronazione-supinazione, far scivolare, in maniera coordinata, una mano sull’altra, ecc.).
Anche il solco intraparietale, afferma Bruner, differisce molto da una persona all’altra.
Misurando l’attività cerebrale di sei persone mentre fabbricavano degli attrezzi di pietra, si è osservato che il solco intraparietale si attivava durante lo svolgimento del compito ed, in particolare, si attivava per garantire un’abilità fondamentale per i primati: la coordinazione tra occhio e mano.
Ancora una volta, chi conosce la clinica del neurosviluppo atipico sa che questi pazienti non falliscono nei test perchè hanno un ritardo mentale ma per le loro difficoltà nel manipolare e nel coordinare la mano con l’occhio.
Quello che, a mio avviso, riveste maggiore importanza nell’articolo di Bruner è il sapere che il precuneo ed il solco intraparietale svolgono queste funzioni poichè integrano informazioni provenienti dalle corteccie visive (occipitali) e dalle corteccie somatosensoriali (tatto) fornendole, successivamente, alle aree deputate alle memorie autobiografiche (corteccie anteriori o pre-motorie).
Inoltre, all’autore non sfugge la tentazione di focalizzare l’attenzione su un’altra parte del nostro CORPO, oltre alla mano ed all’occhio, che tipicizza il nostro modo di essere uomini: la bocca (organo foniatrico, oltre che masticatorio).
Partendo dalle osservazioni recenti fatte da noti ricercatori (gli incisivi dei Neandertaliani presentano tracce di abrasione caratteristiche, rivelando che essi utilizzavano i loro denti come attrezzi o come una terza mano), l’autore sostiene che, nel corso dell’evoluzione, i nostri antenati si affidarono sempre di più all’utilizzo delle mani ed alla loro destrezza che favorì l’estensione del lobo parietale superiore.
Non è un caso, a mio avviso, che nei disturbi dello spettro autistico, accanto ad una difficoltà nell’utilizzo delle mani, troviamo un disordine dello sviluppo del linguaggio. Infatti, le aree cerebrali che controllano le mani sono contigue con quelle delle parole (per chi vuole approfondire consiglio di leggere Coerbellis: dalla mano alla bocca).
Non vi sono più dubbi, i nostri pensieri, i nostri giudizi, i nostri ricordi, le nostre relazioni sociali, sono influenzate dai movimenti e dalle sensazioni del nostro CORPO.
L’ambiente, modificando il nostro corpo, modifica il lobo parietale (epigenetica).
E’ attraverso una terapia abilitativa che dal corpo va al cervello che si intravede una strada, coerente con le neuroscienze attuali, capace di riorganizzare le aree cerebrali e, soprattutto, quelle del lobo parietale.