Non ho alcun dubbio, la cognizione umana è unica sotto vari aspetti.
Quello che da tempo sostengo, attraverso il blog “autismo fuori dagli schemi”, è che, alla fonte di questi aspetti, c’è il neurosviluppo (biocognizione).
Venti anni orsono, con la pubblicazione del testo” L’errore di Cartesio”, Antonio Damasio dava vita alla più profonda rivoluzione nell’ambito della psicologia cognitiva.
Rovesciando “penso dunque sono” in “sono dunque potrei pensare”, Damasio stabilisce che alla base della cognizione vi sono i processi biologici riguardanti non solo il Sistema Nervoso ma l’intero organismo.
Circa 150.000 anni fa comparvero gli umani moderni (Homo sapiens sapiens) che, entrando in competizione con altri gruppi umani, videro aumentare la grandezza della popolazione.
Questi umani moderni crescendo si scissero in gruppi più piccoli, generando un’organizzazione tribale, in cui ogni singolo super-gruppo esprimeva la propria “cultura”.
Distinguere e riconoscere gli altri dal proprio gruppo culturale garantiva il poter fare affidamento solo sui membri del proprio gruppo per condividere le proprie abilità ed i propri valori e, dunque, essere membri collaborativi buoni e degni di fiducia, anche nel difendere il gruppo.
Per la prima volta, questi uomini moderni sperimentavano alcuni comportamenti: persone che parlano con ME, preparano il cibo come ME, condividono le MIE pratiche culturali.
Accadde qualcosa che andò ben oltre il “sono dunque penso”.
Entrò sulla scena un elemento ricorsivo: IO intendo che TU sai che IO penso.
Questo processo psicologico (psicostato), radicalmente nuovo, che comparve con il genere Homo, chiamato “intenzionalità condivisa basata su un’agentività congiunta”, richiede due individui che hanno un obiettivo congiunto, strutturato da un’attenzione congiunta, ciascuno dei quali deve avere il PROPRIO RUOLO e la PROPRIA PROSPETTIVA (condivisione ed individualità simultanee).
In altri termini, possiamo dire che, l’apprendimento sociale segue quello pedagogico che segue quello dell’osservazione/imitazione che segue quello individuale.
Dal 1943 ad oggi vengono diagnosticati autistici, bambini con problematiche relazionali secondarie a deficit cognitivi.
Eppure, da vent’anni, la psicologia dello sviluppo ci indica che l’idea tradizionale di relazione e di cognizione come qualcosa di avulso dalla biologia e dall’evoluzione non può più reggere.
E’ giustificabile che vent’anni non sono stati sufficienti per riconoscere appieno il ruolo costruttivo dello sviluppo e del neurosviluppo (ontogenesi) come, invece, fortemente sostenuto dalla biologia evolutiva dello sviluppo (Evolutionary Developmental Biology o Evo-Devo)?
Nella moderna biologia evolutiva dello sviluppo il bersaglio della selezione naturale non sono i “tratti” dell’adulto (relazione, cognizione) ma le vie del neurosviluppo.
In altri termini, vi è selezione naturale nei psicostati (relazione, cognizione) perchè vi è stata selezione nei processi di costruzione che permetteranno la loro esistenza (neurostato).
Non è qualcosa di poco conto.
Questa prospettiva biologica evolutiva sul neurosviluppo è una prospettiva epigenetica: centrata non tanto sui geni quanto sull’espressione genica, per come si manifesta nei processi di sviluppo e neurosviluppo alle prese con l’ambiente e tra loro per generare psicostati.
Un pesce eredita non solo le pinne ma anche l’acqua, come un cucciolo d’uomo eredita un ambito ricco di stimoli sensori-motori che, progressivamente, diventeranno artefatti, simboli e istituzioni culturali.
Il compito del clinico (neuropsichiatra infantile) è quello di osservare le problematiche cliniche (segni e sintomi) e, grazie alla raccolta anamnestica, comprendere dove (quali circuiti neuronali) il neurosviluppo ha subito un’anomalia.
I cuccioli d’uomo hanno una fase di neurosviluppo molto prolungata.
Questo periodo molto prolungato d’immaturità è pericoloso per i cuccioli d’uomo e costoso e rischioso (fornire assistenza) per i tutori adulti.
Appare ovvio che devono esserci grossi vantaggi adattivi.
Un lungo periodo d’immaturità implica che molte competenze cognitive e sociali, oltre alle abilità di apprendimento ad esse associate, si svilupperanno gradualmente mentre il bambino interagisce con l’ambiente.
A dimostrazione di tutto questo, si è visto che alla nascita il cervello dello scimpanzè ha una dimensione pari a circa la metà della grandezza da adulto, mentre a due anni raggiunge il 90% della dimensione definitiva. Invece, alla nascita il cervello degli uomini è solamente il 20% della grandezza da adulto, e raggiunge il 90% della grandezza da adulto verso gli otto anni di età.
Questo tasso di sviluppo molto lento, per l’appunto, suggerisce che i cuccioli d’uomo richiedono più tempo per imparare e per sviluppare le proprie abilità all’interno dei loro ambienti.
E’ proprio questo un aspetto interessante per comprendere i comportamenti dei bambini con autismo.
Solamente intorno ai tre anni i bambini cominciano ad interagire evidenziando una competenza sociale (parlare a, e non parlare con).
Ma i bambini con disturbo dello spettro autistico già intorno ai 14-16 mesi di vita (se non prima in termini di ipotonocità) manifestavano una problematica di neurosviluppo: chiamato non si gira, sguardo sfuggente, regressione nel linguaggio.
Questo significa che le problematiche di relazione dei bambini autistici hanno una genesi ben precisa: un’atipicità nel costruire la propria identità.
Sono le aree integrative sottocorticali, oltre alle aree dei circuiti talamo-corticale che trattano le informazioni proveniente dal corpo di quel bambino, ad essere primariamente coinvolte.
Se questo fosse vero quel bambino con difficoltà relazionali (autismo) dovrebbe manifestare anche: alta soglia del dolore, posture atipiche, piede piatto, disprassie, fastidio al taglio delle unghie delle mani e dei piedi, difficoltà nella coordinazione occhio-mano, difficoltà nello spogliarsi, soprattutto nel vestirsi, nel lavarsi i denti, nel gestire autonomamente le cure del suo corpo.
Nessuna teoria della mente potrebbe mai spiegare tutte questa caratteristiche.
Nessuno può generare il NOI baipassando l’IO.
L’importante, nel 2020, è affrontare il problema in termini della biologia evolutiva.
La psicologia dello sviluppo lo fa da tempo.
Quando lo faranno i clinici?