Il segreto è la prospettiva
Da circa trent’anni l’autismo è stato considerato una condizione biologica secondaria ad una problematica cerebrale. In tutti questi anni i ricercatori si sono chiesti quale fosse la causa di questa “encefalopatia” e come questa causa avesse potuto generare quelle anomalie di neurosviluppo tali da poter giustificare i sintomi dell’autismo.
Mentre sulla ricerca della causa dell’autismo non abbiamo fatto molta strada, e anche sulle ipotesi eziologiche non c’è molta condivisione nella comunità scientifica, i ricercatori mondiali da tempo concordano sul fatto che una sinaptopatia o una connettopatia sia responsabile del quadro clinico.
Nonostante questa conquista scientifica dobbiamo registrare che le terapie proposte non hanno portato a notevoli avanzamenti.
A mio avviso, anche se questo dato non appare incoraggiante (anche il dato del successo mediatico di questi articoli non lo è) non dobbiamo mai perdere di vista il nostro obiettivo.
Penso che le difficoltà siano dovute al fatto che il disordine è multifattoriale, e che assume tante forme: non esiste un unico autismo.
Inoltre, il cervello è un organo molto complesso.
Per questi motivi sostengo che sia essenziale anticipare l’osservazione agli stadi precoci (primi dodici mesi di vita), anche se non è sempre semplice (normalmente la pediatria delega alla neuropsichiatria infantile).
Inoltre, è necessario un cambio di paradigma, cioè prestare molte attenzioni alla parte sistemica, specie per quanto riguarda gli indici infiammatori (sempre più ricerche, di notevole interesse è quella del dottor Matthew Anderson del Beth Israel Deaconess Medical Center of Boston pubblicata sugli Annals of Neurology, considerano molte forme di autismo quali malattie autoimmuni).
Nonostante l’incoerenza delle proposte terapeutiche rispetto alle conoscenze biologiche attuali (ancora non riesco a comprendere l’indicazione, nella stragrande maggioranza di questi bambini, di un protocollo terapeutico consistente in una presa in carico educativa oppure la prescrizione di due, massimo tre, ore settimanali di abilitazione) e nonostante la resistenza ad attuare il cambiamento di paradigma (l’autismo è anche una problematica sistemica) non ho alcuna intenzione di parlare di insuccesso.
Infatti, non si può parlare di fallimento di fronte al fatto che, mai come oggi, abbiamo tantissime informazioni da parte delle neuroscienze che, almeno, possono farci prendere le distanze, per non ripetere errori, da un passato recentissimo.
E’ questo il motivo per cui dobbiamo continuare il nostro percorso, nel tentativo di comprendere sempre meglio come sviluppiamo le nostre abilità cognitive e relazionali.
Uno scimpanzè vede una scimmia fuggire e sa che anche l’altro scimpanzè, seduto accanto a lui, a sua volta vede la stessa scimmia fuggire. Entrambi possono seguire con lo sguardo la scimmia che fugge, e ciascuno conosce che entrambi possono avere la stessa informazione. Eppure, non la stanno seguendo congiuntamente (come invece fanno gli uomini): non la stanno seguendo come un NOI.
Due esseri umani, se motivati a farlo, in quella stessa situazione potrebbero seguire la scimmia che fugge in attenzione congiunta, cioè insieme, in condivisione, pur continuando a mantenere le proprie PROSPETTIVE o CREDENZE.
A differenza dei scimpanzè adulti e dei cuccioli d’uomo nei primi quattro anni di vita, gli uomini comprendono (grazie al loro neurosviluppo) che entrambe le loro PROSPETTIVE/CREDENZE sulla situazione potrebbero essere potenzialmente in contrasto con una personale visione oggettiva (senza prospettive).
Se dovessi trovarmi con un’altra persona in una stanza seduti di fronte intorno ad un tavolo, con una porta alle mie spalle ed una finestra di fronte a me, e dovessi chiedere cosa all’altro sta guardando, non proverei alcuna meraviglia nel sentire che sta vedendo ciò che io, senza voltarmi, non posso vedere (porta). Anche una terza persona presente, seduto in qualsiasi parte del tavolo, non proverebbe stupore nel sentire quella risposta.
La psicologia sovente ha drammaticamente fallito quando, entrata nella realtà umana, è stata interrogata sulla interpretazione di questa realtà (prospettiva/credenza).
La teoria della mente, come spiegazione della eziopatogenesi dell’autismo, non rappresenta altro che una ulteriore dimostrazione di questi fallimenti.
Questo lo dimostreremo domani.