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IO, NOI, ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica) Giorno 9

Le teorie che spiegano l’autismo

 

Quando nel 1992 incontrai per la prima volta, a Napoli, il dottor Carl H. Delacato e la sua famiglia, nacque in me il desiderio di occuparmi di “autismo in età evolutiva”. All’epoca, in qualità di neurologo, avevo esperienza esclusivamente con casi di “adulti istituzionalizzati con autismo”, ove la presa in carico era esclusivamente farmacologica.

Pertanto, avevo bisogno di un punto di partenza scientifico che, visto l’incontro con i Delacato, non poteva non essere che la teoria sensori-motoria (Delacato, grazie alle sue numerosissime osservazioni cliniche e, soprattutto, grazie alle sue brillanti intuizioni, aveva anticipato gli studi di Hubel e Wiesel, sostenendo che l’input sensori-motorio selezionava l’abilità o psicostato; pertanto, anche se in chiave teorica,  aveva definito fondamentale  il ruolo dell’esperienza sensori-motoria nel processo di neurosviluppo o  organizzazione neurologica, sia tipico che atipico).

Quasi nello stesso tempo (1994), Leslie aveva ipotizzato l’esistenza di un modulo innato o “teoria della mente” per giustificare le caratteristiche cliniche dell’autismo in età evolutiva.

Un anno dopo, Baron-Choen propose più moduli innati (uno per garantire l’attenzione condivisa, un altro per garantire la rilevazione dello sguardo) che, nel loro insieme, avrebbero garantito lo sviluppo della mente umana (riedizione della teoria della mente).

La principale caratteristica di questa teoria, dal punto di vista neurofisiologico, era, ed è, che i moduli innati si sviluppano in modo relativamente indipendente dalle specifiche esperienze, e che non interagiscono significativamente tra loro nè con altri moduli neuronali che gestiscono altre abilità (cioè non interferiscono con altri neurostati capaci di garantire altri psicostati).

Venni a conoscenza immediatamente della  teoria della mente (all’epoca avevo più risorse fisiche e partecipavo a numerosi eventi scientifici) ma, intanto, era accaduto qualcosa di unico.

Non avendo una preparazione accademica in neuropediatria ( già in quegli anni nessuno dubitava più della radice biologica per l’autismo) avevo scelto di formarmi autonomamente, con l’aiuto di tanti genitori ( mi raccontavano le storie dei loro figli, insegnandomi la clinica) e con la lettura di testi pubblicati in quegli anni da vari neuroscienziati (Edelman, Kandel, Rita Levi Montalcini, Changeux, Calissano, Damasio, e tanti altri della stessa bravura).

Sia nei racconti dei genitori, sia in tutte quelle pubblicazioni, non trovavo neanche il minimo indizio che l’attenzione congiunta, così come la mente umana, potessero essere innate e modulari.

I racconti dei genitori mi consentivano di intuire che l’anomalo sviluppo del linguaggio (specie per quanto riguarda la comprensione verbale di azioni: chi fà cosa?) non poteva non incidere nella comprensione delle false credenze (PROSPETTIVA), allo stesso tempo, tutti gli scienziati che sopra ho citato, e tantissimi altri in seguito, facevano abortire in me qualsiasi tentazione di credere che l’esperienza non fosse un fattore fondamentale nello sviluppo delle nostre relazioni e cognizione (basta ricordare la teoria del darwinismo neuronale del premio nobel Gerald Edelman).

Certo, negli ultimi anni, la psicologia dello sviluppo ha dimostrato che veniamo al mondo “molto più istruiti” di quanto si potesse conoscere in passato (specie per la capacità che hanno alcuni stimoli quali volti, voci, sapori, di modulare, da subito, la nostra attenzione), ma questo resta pur sempre lontanissimo dal concetto che, un modulo innato, impermeabile all’esperienza, possa giustificare lo sviluppo (ontogenesi) della comprensione delle false credenze (PROSPETTIVA).

Non posso negare che, in alcuni momenti, un dubbio mi assaliva. Perchè la teoria della mente aveva, ed ha, così successo, al punto che i suoi sostenitori erano, e sono, più numerosi di quelli che sostengono tutte le altre teorie nel loro insieme?

Ho pensato, e penso (da molti anni non ho più avuto dubbi sulla inadeguatezza della teoria della mente per spiegare la genesi dell’autismo), che molti teorici dell’autismo non avevano, e non hanno, una grande esperienza clinica (sick) e, dunque, potevano, e possono, facilmente essere condizionati dal fatto che un’abilità propriamente umana, estremamente carente anche nelle specie vicinissime a noi (le grandi scimmie), che esordisce precocemente (intorno al nono mese di vita, per completare a tre anni il suo sviluppo) non può non essere interpretata innata.

Ma, la scienza non accetta interpretazioni.

La scienza richiede dimostrazioni.

La dimostrazione è che l’asperienza sensori-motoria definisce le sinapsi ed il connettoma specie durante quel lungo periodo in cui il cucciolo d’uomo deve necessariamente essere accudito (neurosviluppo).

E’ durante questo periodo che, condizionandosi reciprocamente, i circuiti neuronali assumeranno le loro conformazioni definitive garantendo al cucciolo d’uomo di diventare ragionevole e sociale (dagli otto anni in poi).

Domani proverò a dimostrare come un’anomala organizzazione neurologica, in alcuni specifici circuiti cerebrali, nelle prime fasi del neurosviluppo, può modificare la prospettiva o credenza.

La teoria della mente, basata su moduli innati ed indipendenti e, dunque, senza alcun riferimento all’ontogenesi o neurosviluppo, è definitivamente defunta.

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