Prima che il cucciolo d’uomo parli
Prima di affrontare definitivamente quello che a mio avviso rappresenta la “madre di tutti i problemi” che caratterizzano la clinica dell’autismo: la genesi della PROSPETTIVA, voglio affrontare, con le lettrici e lettori del blog “autismo fuori dagli schemi”, un argomento storicamente fuorviante (grazie alle teorie innatiste, sia di matrice modulare: Comsky, che di matrice istintuale: Pinker): la COMUNICAZIONE.
Non possiamo avere dubbi, furono l’attenzione e l’assunzione di prospettiva (ovviamente furono le modifiche delle circuiterie neuronali che si verificarono nel corso della filogenesi a garantire, grazie allo sviluppo ontogenetico, le nuove abilità) a permettere all’Homo sapiens-sapiens di evolvere nuove e più efficaci (più adattive) forme di comunicazione.
Mettersi a carponi significa fare tantissima forza sul polso (servirà tantissimo in futuro per un’altra forma di comunicazione esclusivamente umana: la scrittura), spostare alternativamente gli arti ma, soprattutto, controllare con gli occhi dove vanno le mani.
Queste nuove esperienze sensori-motorie, delle mani e degli occhi (non solo, basta pensare che modificando la consistenza del cibo cambia la percezione di tutta la bocca), cominceranno a preparare quel cucciolo d’uomo, di poco meno di un anno, a vivere una grandissima rivoluzione: arrivare, in pochissimo tempo, a produrre gesti indicatori finalizzati a stabilire l’attenzione congiunta verso una specifica situazione (contesto).
In biologia la comunicazione è rappresentata da qualunque cosa veicoli informazioni per un beneficiario (es. la colorazione brillante degli uccelli).
In psicologia, la comunicazione, per essere tale, deve essere veicolata intenzionalmente (il pavone mantiene la sua brillante e lunga coda anche in assenza di potenziali partner, pertanto, da una prospettiva psicologica non è comunicazione).
Le grandi scimmie si distinguono dagli altri mammiferi e dalla maggioranza dei primati (200 specie) perchè utilizzano una forma di comunicazione flessibile (stessa informazione può essere veicolata con segnali differenti oppure stesso segnale può contenere informazioni differenti) ed intenzionale (mai in assenza del ricevente, per questo motivo i vocalizzi delle grandi scimmie non hanno una valenza comunicativa che, invece, troviamo nello “spulciamento”)
Ho più volte ricordato, in questi anni di pubblicazioni attraverso il blog “autismo fuori dagli schemi”, che per le grandi scimmie la vera comunicazione è stata quella gestuale e non quella vocale.
Infatti, a differenza delle vocalizzazioni, le grandi scimmie manifestano molte e significative differenze individuali nei repertori gestuali di individui differenti della stessa specie.
Inoltre, si è visto che producono un gesto solamente quando il destinatario è particolarmente attento, dopodichè ne controllano la reazione ed attendono la risposta (cosa che assolutamente non fanno con i vocalizzi).
Infine, siamo ben consapevoli che le grandi scimmie, oltre a movimenti di intenzione, sempre “attraverso l’utilizzo del proprio corpo” (la biologia evolutiva applicata al neurosviluppo ha anticipato di quarant’anni la embodied consciousness theory o teoria della coscienza incarnata) possono esercitare richiami di attenzione.
Esempi di richiami di attenzione sono lo sbattere le mani a terra, il dare colpetti con le dita e il lanciare oggetti (penso che quest’ultimo sia stato il più grande ed il più drammatico dono selezionatosi nel corso dell’evoluzione).
Ricapitolando, con i suoi gesti la grande scimmia vuole che l’altro agisca.
Ciò avviene sia direttamente con il movimento di intenzione, sia indirettamente con il richiamo d’intenzione ove, la grande scimmia, vuole che l’altro veda una cosa per agire (a questo proposito voglio solo ricordare un importante principio di neurofisiologia: per consentire un movimento d’intenzione quel cervello deve essere ben organizzato, cioè capace di inibire i movimenti automatici).
Chi ricercatore o chi esperto di cucciolo d’uomo (genitore) potrebbe mai dubitare che questi due tipi di gesto (movimento d’intenzione, richiamo d’attenzione) non siano il fondamento evolutivo della mimica e dei gesti indicatori nei cuccioli d’uomo?
Chiunque abbia allevato un cucciolo d’uomo conosce benissimo che, ancor prima dei nove mesi, il neonato ha catturato l’attenzione dell’adulto verso i propri bisogni piangendo. All’inizio, il pianto non è un atto intenzionale, ma presto lo diventa ritualizzandosi come piagnucolio. Contemporaneamente, utilizzeranno anche il gesto indicatore con la mano intera per dare ordini agli adulti (voglio quella cosa che è caduta). Ma solo dopo, dai 10 ai 18 mesi, comincerà a fare richieste cooperative, informando l’adulto nella speranza che la sua richiesta vada a buon fine.