Lanciare parole
Nel corso delle mie lezioni sulla filogenesi e sull’ontogenesi, ovvero sul come siamo diventati esseri umani, spesso ricordo ai presenti che senza le modifiche anatomiche e funzionali a carico degli arti anteriori (superiori per i primati), per le nostre carenze fisiche, difficilmente ci saremmo impossessati della terra (virus permettendo).
Infatti, grazie al lancio (grazie alla spalla!) abbiamo sperimentato che potevamo uccidere a distanza, superando la necessità del contatto fisico.
Successivamente, tutti abbiamo sperimentato che possiamo uccidere molto di più (socialmente) lanciando parole.
Un uomo senza la possibilità di pronunciare parole potrebbe essere paragonato ad un uomo senza proiettili prima di un duello armato di pistola.
Pertanto, nessuno deve meravigliarsi se un genitore dovesse manifestare preoccupazione di fronte ad un ritardo di acquisizione del linguaggio da parte del proprio figlio.
A questo va aggiunto che le ipotesi creazioniste (Chomsky), come quelle innatiste (Pinker), contribuirono non di poco a rafforzare l’idea generale che chi non parlava non capiva, ovvero, chi non aveva linguaggio era affetto da grave ritardo mentale.
E’ questo il motivo per il quale, dalle interviste alle mamme ed ai papà dei bambini con disturbo dello spettro autistico, nei primi 5-6 anni di vita, emerge che il linguaggio del loro bambino è l’aspetto più preoccupante (65% dei casi, mentre per il restante 35%, a questa età, l’aspetto più preoccupante è rappresentato dal comportamento e/o dalla mancata acquisizione delle autonomie personali).
Ma il linguaggio, come il comportamento e le autonomie, deve essere appreso, cioè richiede che si verifichino una serie di modifiche strutturali e funzionali all’interno del cervello umano.
Modifiche, che non possono essere programmate esclusivamente dalla genetica ma, che necessitano di un’interazione cucciolo/ambiente.
La mia ipotesi è che, il bambino con disturbo dello spettro autistico, per i suoi neurostati, stabilirà ben presto un’anomala interazione cucciolo/ambiente con conseguenti apprendimenti atipici.
Per capire quali neurostati sono primariamente coinvolti di sicuro è fondamentale conoscere come fisiologicamente acquisiamo le parole.
Storicamente (quanto scritto sopra nè giustifica il motivo), siamo molto impegnati nel tentativo di stabilire “quando” un cucciolo d’uomo pronuncia le SUE prime parole (intorno ai 14 mesi di vita per gli occidentali). In realtà sostengo che sarebbe molto più corretto chiedersi cosa deve accadere prima che parli (abbiamo visto ieri quante cose) e, soprattutto, perchè l’uso del linguaggio inizia intorno ai 14-18 mesi?
Per prima cosa dobbiamo essere bravi nel comprendere che esiste una distinzione tra acquisizione del linguaggio ed uso del linguaggio (per i neurologi questo è scontato).
La psicologia dello sviluppo sostiene che, intorno al settimo mese di vita, quando il cucciolo d’uomo ascolta la parola palla guarda la palla posta sul tavolo. Questo dimostra che sia nel collicolo superiore che in alcune cortecce cerebrali (occipito-temporale) ampie popolazioni di neuroni stanno scaricando insieme (adattamento o prima legge dell’apprendimento inconsapevole), sia di fronte allo stimolo visivo (vedo la palla) che a quello uditivo (ascolto palla).
Questa sincronizzazione tra neuroni con modalità differenti (vista, udito) è un prerequisito necessario per imparare le convenzioni linguistiche che chiamiamo PAROLE.
Ma questa sincronizzazione vista/udito (circuiti occipito-temporali) geneticamente permessa ed epigeneticamente completata (selezione esperienziale esercitata dall’input sensori-motorio; teniamo sempre presente che dirigere l’attenzione, consapevolmente o inconsapevolmente è sempre un qualcosa che l’organismo fa, pertanto, è un atto motorio) è necessaria ma non sufficiente per poter “lanciare parole”.
Infatti, il cucciolo d’uomo, per capire una parola (oggettivo) come un frammento di linguaggio, deve comprenderla come un qualcosa che l’adulto usa per dirigere la SUA attenzione (soggettivo) verso un oggetto (palla, ossia contesto).
Inoltre, il cucciolo d’uomo deve comprendere che LUI potrebbe fare la stessa cosa verso l’altro.
Ad esempio, un cucciolo d’uomo all’età di 12-14 mesi sta seduto nel seggiolone per mangiare (può starci esclusivamente in questo caso e in pochi altri momenti, per il resto doveva e deve stare sul pavimento), cioè per svolgere un’attività condivisa ben conosciuta. Ora, se la madre porta al figlio un frutto nuovo e sconosciuto e pronuncia banana è molto probabile che questa parola sconosciuta sia intesa per riferirsi al frutto nuovo. Queste probabilità diverrebbero certezze qualora la madre spostasse ripetutamente lo sguardo dal bambino alla banana, ed esprimesse con mimica facciale “entusiasmo”, o indicasse il frutto.
La mia idea è che quei bambini, che 1 o 2 anni dopo etichetteremo come “autistici” perchè non hanno sviluppato il linguaggio e perchè manifestano alcuni comportamenti “bizzarri”, sono bambini che all’età di 12-14 mesi manifestavano problemi con le abilità di attenzione congiunta (condivisione dello sguardo, indicare) e, soprattutto, con l’assunzione di prospettiva.
Domani inizierò a definire questa importantissima funzione (prospettiva) in termini anatomo-fisiologici.
A domani.