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IO, NOI, ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica) Giorno 13

Le fake news sono sempre in agguato.

 

Immaginiamo di incontrare una persona che ci pone una domanda.

Scusi, per lei che cos’ è la coscienza?

Penso che sia una delle domande più difficili a cui rispondere, anche perchè non potrebbe esserci una definizione unica (tutte le definizioni che ho trovato risultano insoddisfacenti e, talvolta, anche inadeguate).

Forse la risposta più ovvia (forse anche la più banale) è quella basata sull’introspezione: basta svegliarsi da un sonno senza sogni e rendersi conto del proprio CORPO e del MONDO che ci circonda.

In altri termini, rendersi conto di esistere.

Per non creare confusione in alcune lettrici/lettori che seguono costantemente il blog “autismo fuori dagli schemi” voglio solo ricordare che, con il termine introspezione definiamo quella nostra capacità di isolarci ed interrogarci, funzione selezionatasi nel corso dell’evoluzione poichè estremamente adattiva (ci consentiva di comprendere meglio le conseguenze delle nostre azioni in ottica futura). Nei miei interventi non ho mai preso le distanze dall’introspezione, ho sempre affermato che, per le moderne neuroscienze, non può assolutamente avere una valenza diagnostica nelle patologie del sistema nervoso (l’autismo lo è).

Rendersi conto del proprio corpo è quello che consente di costruire la prospettiva o credenza.

Oggi, nessuno può dubitare del fatto che, ad un certo punto dell’evoluzione, gruppi di uomini che cooperavano tra loro hanno iniziato a generare particolari gesti e suoni che ognuno, all’interno del proprio gruppo, ha usato nello stesso modo quando voleva stabilire l’attenzione congiunta verso particolari referenti o, addirittura, in loro assenza.

Ovviamente, queste convenzioni potevano funzionare solamente perchè tutti condividevano (genesi del terreno culturale comune) come esse venivano usate, convenzionalmente, da tutti.

Questi riferimenti costanti sulle modalità che ci hanno reso umani hanno un preciso scopo: farci intendere che, conformarsi all’uso di una convenzione comunicativa (gestuale e/o verbale) include la necessità di possedere PROSPETTIVE sulle cose.

Infatti, la stessa precisa entità (macchinina) può essere un giocattolo, un regalo di mamma, la macchinina rossa preferita da mio fratello.

Per non parlare poi delle costruzioni grammaticali che, inevitabilmente simbolizzano eventi da una particolare prospettiva (per es. la macchinina è stata spostata codifica l’accaduto dalla prospettiva della macchinina, Marco ha spostato la macchinina codifica l’evento dalla prospettiva del nostro ipotetico bambino con autismo).

Chi ha esperienza con bambini con disordine dello spettro autistico, cioè chi vive con questi bambini, conosce bene che gli autistici hanno un’ ottima capacità di immaginare che cosa l’altro percepisce e che cosa l’altro sà (a differenza di quanto sostenuto dalla teoria della mente).

Affermare che il bambino con disturbo dello spettro autistico “immagina ciò che un altro vede e sa” significa sostenere che quel soggetto immagina l’esperienza dell’altro, ma questa esperienza non implica necessariamente differenti prospettive.

Il fatto che un bambino con disordine dello spettro autistico sappia immaginare che il papà sta per uscire quando va a prendere la chiave della macchina è un’affermazione molto scontata.

Invece, quello che questi bambini manifestano, anche se di espressione differente in merito al tipo di disordine dello sviluppo neurologico ed all’età della sua insorgenza, è il disordine nel coordinare le prospettive poichè, come vedremo, manca l’informazione cardine per costruire (biologicamente) la propria prospettiva. Tutto questo si verifica solamente perchè sono mancate le informazioni sul proprio corpo (se papà prende la chiave della macchina mi agito se non esco con lui, anche se papà doveva andare fuori per un fatto privato).

Anche un bambino cresciuto nell’isolamento sociale non avrebbe difficoltà nell’immaginare ciò che un altro vede e sà, ma mostrerebbe limiti nel considerare una situazione da differenti prospettive in quanto non ha mai sperimentato le necessarie interazioni di “attenzione congiunta” con gli altri.

Il bambino con disturbo dello spettro autistico non è cresciuto in isolamento sociale.

A lui è capitato altro: per una noxa patogena, il processo di moltiplicazione neuronale e/o di migrazione neuronale e/o di selezione delle sinapsi (organizzazione neurologica o neurosviluppo o ontogenesi neuronale) in quell’organismo che è vissuto in quel determinato ambiente ha subito “un disordine”.

Le conseguenze di questo disordine (altrimenti non poteva generarsi l’autismo) coinvolgeranno precise aree cerebrali (neurostati) che conferiranno una specifica caratteristica a quel bambino: paradossalmente potrà disporre di più informazioni provenienti dai suoi esterocettori (tattilità superficiale, udito, vista) che non da quei recettori che portano al cervello le informazioni sullo stato del corpo (enterocettori, propriocettori, nocicettori).

Prima di sottoporre a verifica questa mia tesi dobbiamo comprendere meglio il concetto di prospettiva, solo così possiamo prendere le distanze dalle bufale:” la falsa credenza è secondaria ad un deficit intenzionale innato”.

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