Molti miei coetanei ricorderanno il film con Kevin Costner, uscito nelle sale cinematografiche nel 1999 e tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks: “Le parole che non ti ho detto”.
Nel film, come lascia intendere il titolo, si faceva riferimento ad un messaggio d’amore non detto ma scritto e custodito in una bottiglia che il mare consegnerà nelle mani di un’altra persona, generando una nuova storia d’amore.
LA forza del linguaggio (sia verbale che scritto)!!!!
Appare fin troppo chiaro che nessun genitore (per fortuna) potrà mai accettare l’idea che suo figlio non dica parole.
Ma perchè un bambino, intorno ai due anni di vita, non sviluppa il linguaggio?
La questione può essere affrontata da almeno due prospettive. Da una prospettiva eziologica, ovvero quale noxa patogena (infezione, trauma, genetica, metabolica) abbia danneggiato quel giovanissimo Sistema Nervoso, e da una prospettiva patogenetica, ovvero cosa non si è “sviluppato” in quel giovane cervello in seguito al processo morboso.
Da decenni mi occupo del secondo aspetto che, se pur frustrante (non mi consente di comprendere la genesi del problema), mi aiuta a dare consigli sui piani terapeutici abilitativi.
E’ sullo stato della conoscenza dello “sviluppo del linguaggio”, che voglio scrivere in quest’articolo.
Da sempre le opinioni, anche scientifiche, sull’organizzazione del linguaggio sono state discordanti. Due secoli fà, ad esempio, gli uomini di scienza, a tal proposito, si dividevano in due schieramenti: uno riteneva che aree specifiche del cervello fossero responsabili del linguaggio, l’altro sosteneva che parlare richiedesse l’uso di tutto il cervello. Quando, qualche decennio dopo, fu individuata l’area di Broca nell’emisfero sinistro, importante per la produzione del linguaggio, e poi dell’area di Wernicke, fondamentale per comprenderlo, la discussione sembrò orientarsi a tutto favore dei localizzazionisti.
Anche la mia formazione accademica (neurologo) subì questa influenza. Mi venne insegnato che il funzionamento del linguaggio si articolava su tre strutture: con l’area di Broca si parla, con l’area di Wernicke si capisce, mentre il fascicolo arcuato (via di fibre nervose) collegava le due strutture per unificare la funzione (comprensione-produzione).
Pertanto, se il mio paziente avesse manifestato una difficoltà nel parlare o nello scrivere il bigliettino da consegnare alle speranze che, sovente, vengono dal mare (Figlia, R. Vecchioni), ma avrebbe conservato la comprensione della lingua, avrei dovuto cercare la spiegazione in un danno nell’area di Broca. Se, invece, il suo problema fosse stato quello di comprendere quanto veniva letto o ascoltato, pur capace di pronunciare frasi prive di senso e parole inadatte al contesto, il danno interessava l’area di Wernicke. Un’afasia di conduzione avrebbe, invece, determinato una difficoltà nel ripetere le parole.
Intanto, già intorno agli anni cinquanta dello scorso secolo (prima del mio percorso accademico), questa chiara ma troppo insufficiente architettura era stata messa in crisi.
Infatti, alcuni clinici avevano osservato che pazienti con lesioni in aree limitrofe a quella di Broca sovente manifestavano sintomi caratterizzati da incapacità di parlare e/o scrivere chiaramente, allo stesso tempo pazienti con danno nell’area di Broca non manifestavano questi sintomi.
Non poteva non farsi strada la convinzione che il linguaggio, specie nel suo neurosviluppo, non potesse essere una faccenda di poche aree cerebrali.
Oggi, i giovani neurologi vengono formati con modelli che ipotizzano che l’informazione uditiva deve raggiungere dapprima la corteccia uditiva primaria (lobo temporale) capace di accogliere ogni stimolo sensoriale udito, poi è necessario l’ascolto.
Cosa significa ascoltare in termini di neurostato o di Organizzazione Neurologica?
Il fatto che l’input sensoriale raggiunga l’area uditiva primaria è condizione necessaria ma non sufficiente per sviluppare il linguaggio. Infatti, lo stimolo nervoso uditivo, dopo essere stato trasmesso al neurone sensoriale dell’area primaria uditiva, deve entrare in comunicazione con i neuroni parietali, che ricevono informazioni dal corpo di chi sta udendo e deve prestare ascolto, e con i neuroni visivi, situati nella parte anteriore del lobo temporale, oltre che con i neuroni frontali, per alcune memorie, di entrambi gli emisferi. Solo dopo queste connessioni l’informazione uditiva, sotto forma di informazione nervosa o potenziali d’azione, raggiungerà l’area di Wernicke (emisfero sinistro per i destrimani). Inoltre, le strutture sottocorticali, specie il talamo e la sostanza reticolare impediranno la contaminazione con altri stimoli sensoriali (processo attentivo) che, contemporaneamente, bombardano quel cervello.
Attraverso questo processo organizzativo si selezioneranno i circuiti neuronali responsabili delle differenti componenti del linguaggio: fonologica, prosodopica, semantica, sintattica, tutte attive sia durante la comprensione che durante la produzione del linguaggio.
Si comprende come le neuroscienze moderne, considerando il linguaggio un’abilità o psicostato basato su un modello associazzionistico ove aree specifiche (sia corticali che sottocorticali e sia dell’emisfero destro che del sinistro) si organizzano in rete, abbiano determinato un potente mutamento di prospettiva ove percezione, attenzione, memoria, pianificazione, movimento (queste ultime due fondamentali anche per articolare i suoni vocalici) rappresentano gli ingredienti per produrre parole ed emozioni ad esse collegate.