Il problema del neurosviluppo.
Da circa un ventennio i ricercatori in neuroscienze ci confermano che la clinica dell’autismo (disturbo dello spettro autistico) è secondaria a un disordine dello sviluppo del connettoma (neurosviluppo).
In ambito terapeutico-riabilitativo tale acquisizione non doveva restare una conoscenza di secondo ordine. Tutt’altro.
In effetti, ad un esame dell’attuale situazione del disturbo, bisogna riconoscere che è stata commessa una grave mancanza: di fronte a questa conoscenza non si è ritenuto importante studiare come si sviluppa il connettoma umano (neurosviluppo).
Eppure i tempi erano maturi.
Infatti, l’approccio psicoanalitico (basato sull’introspezione e, pertanto, prettamente soggettivo) era stato totalmente spazzato via dal comportamentismo prima e dal cognitivismo poi (lo studio del comportamento aveva assunto connotati scientifici grazie alla possibilità di poter oggettivare le conoscenze).
Ciò nonostante, come considerato in precedenza, va preso atto in maniera estremamente evidente, che attorno al neurosviluppo, questione centrale per la comprensione dei disturbi dello spettro autistico, si è creato un vuoto.
In altri termini, partendo dallo studio della nostra vita «psichica», come anche partendo dal comportamento o dai processi cognitivi di ordine superiore, non abbiamo percorso molta strada nel tentativo di conoscere come si sviluppa il connettoma e anche la genesi dei segni e sintomi dei disturbi dello spettro autistico.
A questo punto penso che sia giusto porsi una domanda: esiste, nell’attuale nostro contesto, la possibilità di provare a colmare il vuoto che si è determinato?
L’avvento della biologia evolutiva.
In effetti, le neuroscienze moderne hanno le idee molto chiare in merito alla nostra domanda.
Infatti, quasi tutti i ricercatori nel settore delle scienze dell’apprendimento e del comportamento negli ultimi decenni, per progredire nelle conoscenze, hanno fatto riferimento alla biologia evolutiva.
Fare riferimento alla biologia evolutiva significa partire dal presupposto che non possiamo conoscere la genesi dei nostri comportamenti fino a quando la consideriamo solo «risposta» di atti mentali o psichici oppure risposta riflessa a stimoli ambientali, prescindendo dall’inevitabile coinvolgimento del «cervello». E, nemmeno, possiamo semplicemente liquidarla come il prodotto dell’attività dei neuroni delle nostre cortecce cerebrali o delle nostre motivazioni.
Far riferimento alla biologia evolutiva significa che, per comprendere come si generano i nostri comportamenti, bisogna innanzitutto comprendere il tipo di relazione che si è stabilita tra il corpo e il cervello durante tutto il periodo dell’evoluzione umana e che si manifesta fin dal concepimento. Infatti, le cellule nervose o neuroni sono cellule del corpo che cooperano con tutte le altre cellule del corpo per la sopravvivenza dell’organismo.
Ovviamente, grazie alle loro proprietà biologiche, i neuroni svolgono un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento in generale e nell’apprendimento dei comportamenti nello specifico.
Infatti, essendo cellule capaci di rovesciare i loro gradienti elettrici ed essendo anche capaci di modificare il gradiente elettrico delle cellule con le quali stabiliscono connessioni, i neuroni si posizionano, in circuiti, tra le periferie sensitive del corpo e la periferia motoria.
Inoltre, non va trascurata un’altra proprietà biologica delle cellule nervose: queste cellule, in relazione all’intensità e alla frequenza con le quali vengono stimolate, possono modificare dapprima la forza e poi la struttura delle zone di connessioni o sinapsi.
Quest’ultima proprietà biologica dei neuroni è definita plasticità neuronale.
L’importanza della plasticità neuronale.
La plasticità neuronale ci permette di comprendere come i circuiti neuronali si sviluppano prima (neurosviluppo) e si modificano poi in conseguenza di quello che il corpo fa, nel contesto in cui si trova a vivere (selezione esperienziale).
Le moderne neuroscienze ci hanno permesso di acquisire anche un’altra importante conoscenza: il significato che il corpo attribuisce al mondo che ci circonda (percezione), così come la ricategorizzazione o memoria, dipendono dalla morfologia dei circuiti e dalla forza delle sinapsi.
Appare logico che, se le percezioni e le memorie dipendono dallo sviluppo dei circuiti neuronali, anche le decisioni che il corpo assume nei vari contesti dipenderanno dal connettoma che quell’organismo ha sviluppato, nel contesto in cui si è trovato a vivere, dalla nascita per tutto il corso della sua vita.
Dunque, dalla gestazione in poi, a mano a mano che l’organismo «risponde» e si «adatta» ai cambiamenti interni ed esterni, i neuroni si «specializzano» e si «integrano» per mezzo delle loro connessioni (connettoma).
Queste connessioni si stabiliscono seguendo uno sviluppo pre-fissato o organizzato definito come organizzazione neurologica.
L’organizzazione neurologica.
L’organizzazione neurologica, caratteristica unica per ogni singolo essere umano, rappresenta l’impostazione dei circuiti connettivi assunta dal cervello al completamento della sua maturazione.
Alla nascita, infatti, i circuiti midollari e quelli bulbari sono già stabilizzati. Inoltre, i neuroni si sono già «differenziati» e sono migrati nelle loro sedi definitive. Questo significa che non veniamo al mondo come una tabula rasa.
Allo stesso tempo, interagendo con il mondo che lo circonda, il cucciolo d’uomo perfeziona lo sviluppo dei circuiti a livello del tronco cerebrale e a livello delle colonne corticali. Notevole importanza, per lo sviluppo delle nostre abilità cognitive, è rappresentato da tutte quelle connessioni tra i neuroni del VI strato delle colonne ed ineuroni del nucleo reticolare del talamo che regolano il controllo del flusso dei dati sensoriali alle cortecce cerebrali per la relativa elaborazione.
In base al flusso sensoriale, a loro volta, si «selezioneranno» tutte quelle connessioni tra i neuroni dello strato II e i neuroni dello strato III delle colonne corticali che daranno origine ai circuiti associativi a breve raggio, a lungo raggio e interemisferici, dimostrando così che l’attività sensori-motoria in origine (primi anni di vita), la fase imitativa subito dopo e il processo socio-pedagogico infine, svolgono un ruolo fondamentale nel regolare il neurosviluppo.
La clinica, pertanto, ci indica che, di fronte ad un cucciolo d’uomo che tra il primo e il secondo anno di vita non mostra interesse verso lo sguardo altrui, non indica con il dito, non saluta su richiesta con la mano, non lancia parole, è il neurosviluppo che deve essere attentamente indagato e compreso.
In tale maniera, la clinica, mediante un’accurata anamnesi dei disturbi sensori-motori che necessariamente impone una grande esperienza e l’imprescindibile fattiva partecipazione dei genitori come profondi conoscitori del vissuto del figlio, potrà ricreare i presupposti, in virtù della plasticità neuronale, per un’organizzazione neurologica più aderente alle necessità di una vita sociale.
L’affrontare i disturbi dello spettro autistico nella corretta sede del neurosviluppo potrebbe essere il nuovo percorso, completamente originale rispetto a quanto proposto e che ancora si propone, per vedere dei cambiamenti dei comportamenti che da anni, invano, i genitori chiedono alle istituzioni.