Il mio viaggio nell’autismo è iniziato molto presto. In effetti, alleviare il peso delle famiglie con bambini che non riuscivano a comunicare o non avevano le competenze necessarie per una vita normale, è stato, per me, un obiettivo sempre presente. A tale scopo, ho sperimentato, anche con profonda convinzione, come osservatrice o come praticante, diversi orientamenti, che, alcune volte ho rifiutato (come quando ho visto colleghi proporre pupazzetti per simbolizzare la famiglia), mentre altre volte ho appoggiato con vigore (come quando, in qualità di tecnico Aba, riuscivo a far assimilare complesse abilità a bambini che, seduti al tavolo erano simili a “macchinette” che acquisivano picchi di abilità visive altissime ma che poi, non sapevano dirmi che erano stanchi [ho visto bambini piangere disperatamente per questo], non sapevano soffiarsi il naso, non sarebbero riusciti a mangiare una pizza con la loro famiglia la sera al ristorante o non avrebbero mai potuto prendere un treno).
In tutto questo confrontarmi, ho sempre avuto un punto fermo: cercare la collaborazione della famiglia provando a coinvolgerla anche nel quadro teorico dell’intervento. Infatti da sempre, sono convinta che l’ambiente arricchito rappresenti, oltre che fonte di coerenza, il fulcro per il progetto che metto in pratica.
Negli ultimi 2 anni ho cercato di cambiare la prospettiva: dedicando una maggiore attenzione alla struttura corporea dei bambini, compreso il funzionamento del cervello, intervenendo con strumenti di motricità e sensorialità (che sento più vicini alla mia professione). Applicando queste strategie (con tempi e criteri ben precisi), ho visto il profilo di sviluppo allinearsi e mettere in ordine ciò che prima era disorganizzato, discordante e disturbante. In questa maniera ho visto svelarsi il bambino che esisteva sotto un disturbo di iperacusia (crisi di panico a tutte le feste di compleanno), oppure disegnare un cerchio e appaiare due figure uguali per un bambino che aveva gravi alterazioni della visione (sguardo caotico). Questo è stato possibile nel momento in cui ho potuto, con piena competenza, applicare la metodologia sensori-motoria.
L’ultima edizione del Manuale internazionale dell’Associazione Americana di Psichiatria, il DSM-5 pubblicata nel 2013, definisce il Disturbo dello Spettro Autistico un disturbo del neurosviluppo, ad insorgenza precoce, caratterizzato da difficoltà nell’interazione e comunicazione sociale e dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati.
In pratica, il manuale afferma che esiste un’alterazione dello sviluppo cerebrale sottolineando, inoltre, due differenze rispetto a tutte le precedenti edizioni, che tuttora rappresentano motivi di riflessione nella comunità scientifica:
– la prima è che viene riconosciuto un unico “nucleo sintomatologico” della condizione clinica, la quale presenta diversi gradi di gravità dal punto di vista quantitativo, e che delinea le differenti forme in base a “sintomi chiave”;
– la seconda, e più sostanziale variazione, è che per la prima volta viene riconosciuta, nel disturbo dello spettro autistico, la presenza di disordini sensoriali.
Riporto testualmente: “iper o ipo sensibilità a input sensoriali o interessi atipici per aspetti sensoriali dell’ambiente, come apparente indifferenza al dolore o al freddo, risposte evitanti a specifici suoni o aspetti tattili, eccessiva attività nell’odorare o nel toccare oggetti, fascinazione per luci o per oggetti che ruotano”. Tali anormalità, mai prese in considerazione in precedenza, vengono oggi attribuite ad alterazioni del neurosviluppo.
Ma cosa è il neurosviluppo? É un lungo e complicatissimo avvicendarsi di fasi in cui, si generano e si eliminano neuroni, si attivano e disattivano funzioni. Considerate la circostanza che entrambe queste fasi sono cruciali: l’eliminazione o la disattivazione di qualcosa è altrettanto fondamentale della creazione o attivazione di qualcos’altro. Se questi due processi non si bilanciano, avremo certamente dei problemi. Il processo del neurosviluppo corre velocemente nel primo anno di vita, per poi rallentare gradualmente la sua corsa fino all’ottavo anno e poi assestarsi definitivamente intorno ai 18/21 anni. É un processo lunghissimo, che vede nei primi anni di vita cambiamenti sostanziali enormi e procede secondo due percorsi: il primo è fisso e rigido e prevede che si rispettino fedelmente le istruzioni genetiche (nel periodo fetale specialmente), il secondo percorso è lasciato all’imprevedibilità dell’esperienza ambientale, che già nelle primissime ore di vita decide la formazione e la selezione dei neuroni, più nello specifico dei collegamenti sinaptici, che determinano la creazione di circuiti, il che equivale a dire creare apprendimento.
In pratica, a 6-8 settimane, il neonato smette di comportarsi “automaticamente” (quindi smette di usare solo un “cervello automatico”) e inizia a prendere possesso cosciente del suo corpo. Per diventare essere umano, deve conquistare la sicurezza posturale, la manipolazione (vale a dire coordinazione mano-mano, occhio-mano-bocca, occhio-mano-bocca-piede), l’organizzazione in schemi di locomozione.
Lo sviluppo sensori-motorio (cioè l’apprendimento dell’uso del proprio corpo) rappresenta, quindi, la base sulla quale poi s’innesta l’apprendimento per imitazione, poi per educazione, per terminare con ciò che ci identifica come esseri umani (a differenza dei cugini primati): la cognizione sociale, la comunicazione, l’apprendimento culturale, il pensiero cooperativo, le norme sociali e l’identità morale.
Se questa prima esperienza è continuamente caotica e incoerente (come accade nei bambini con problemi sensoriali), lo sviluppo dell’essere umano percorrerà strade anomale.
L’esperienza comune è che il non uso prolungato di una funzione o struttura, fa perdere la possibilità di esercitare adeguatamente la funzione interessata e rende più scadente l’uso di altre funzioni a essa collegate (es: non riuscire a masticare e muovere la lingua, per problemi sensoriali nella bocca, compromette l’articolazione del linguaggio).
Per concludere:
– la famiglia resta il fulcro dell’intervento. É necessario stringere un patto di collaborazione con i genitori intorno al progetto riabilitativo, creato sulla base d’informazioni pertinenti il singolo bambino, in modo che gli stessi genitori possano capire e approfondire;
– la terapia deve essere indirizzata e centrata sul corpo del bambino, in modo da riorganizzare il percorso di sviluppo attraverso la sensorialità (andando a intercettare il recettore sensoriale, rispettandone le regole fisiologiche di funzionamento) e l’attuazione di strategie motorie organizzate secondo logiche di neurofisiologia.
Lo scopo è ripristinare il più possibile una linea di sviluppo armonico favorendo l’integrazione sensoriale (e non la segregazione sensoriale di una modalità più forte a discapito di un’altra) lavorando con strategie poco “cognitive” e più corporee.
Relazione presentata alla riunione in via telematica: -AUTISMO: disturbo del neurosviluppo- organizzata dall’Associazione Internazionale dei Lions Clubs il 31 maggio 2021.
Dott.ssa Maria Concetta Moretti. Neuropsicomotricista. Master Delacato 2019- 2021