Le persone affette da schizofrenia sono convinte delle proprie idee deliranti e non ritornano alla ragione nemmeno se si dimostrano in loro errori di giudizio. Da qui i loro comportamenti inappropriati che tutti sanno, generati dal loro tentativo di spiegare l’inspiegabile.
Il termine schizofrenia (mente divisa, malattia della frammentazione del pensiero) fu coniato nel 1911 dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler.
In effetti, già nel 1860 lo psichiatra francese Benedict Augustin Morel si era interessato a questi giovani pazienti, definendoli affetti da “demenza precoce”. Egli attribuiva i sintomi ad una degenerazione cerebrale trasmessa per via ereditaria.
Anche lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin, autore del Trattato di psichiatria e ritenuto padre di questa disciplina, nel 1899 riunì questi casi clinici sotto il nome di dementia praecox. Kraepelin differenziò tre forme cliniche: quella in cui prevaleva l’ideazione persecutoria e le allucinazioni (dementia paranoide), quella in cui prevaleva la disorganizzazione del pensiero e del linguaggio (dementia ebefrenica) e quella in cui prevaleva l’alterazione del comportamento motorio (dementia catatonica).
Come scritto sopra, Bleuler aveva abbandonato il concetto di demenza in quanto aveva individuato il nucleo centrale della malattia nella dissociazione e non nel decadimento cognitivo. Per questo aveva coniato il termine schizofrenia ed aveva aggiunto a queste tre forme quella da lui definita simplex (solamente presenza di sintomi da lui ritenuti secondari a frammentazione del pensiero).
Dopo 102 anni, con la publicazione nel 2013 della quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), sono stati aboliti i sottotipi della schizofrenia ed è stato introdotto il concetto di schizofrenie.
In effetti, dopo un intenso dibattito, la comunità scientifica, pur mantenendo il termine schizofrenia, ha voluto riunire sotto questo nome gruppi eterogenei di sintomi che, diversamente combinati, possono essere associati o meno a una o più malattie.
Oggi le ipotesi prevalenti sull’origine dei disturbi “schizofrenici” fanno riferimento ad alterazioni del neurosviluppo, che hanno una base genetica (varianti rare e polimorfismi) ma che necessitano di fattori ambientali (problematiche infettive e nutrizionali durante la vita intrauterina, oppure complicanze al momento del parto e, ancora, uso di droghe nel corso della vita) per potersi manifestare.
In effetti, molti neuroscenziati concordano sul fatto che le interazioni tra genetica ed ambiente attiverebbero una serie di meccanismi (epigenetica) che sono alla base di molti disordini del neurosviluppo.
Il termine epigenetica (oltre la genetica), per l’appunto, si riferisce a processi che permettono di modulare l’espressione dei geni, senza modificare la sequenza del DNA. Questi meccanismi corrispondono alla metilazione del DNA, a modificazione degli istioni (le molecole attorno alle quali si avvolge il codice genetico), e all’espressione di piccole sequenze di controllori genici (micro-RNA).
Dimenticavo, “Brain on fire” è un bellissimo film.
E’ più di un piacere vederlo.