Uncategorized

PERCHE’ GLI AUTISTICI SONO MENO NEUROFLESSIBILI?

     

 Un uomo adulto ha una conoscenza di Sè molto sviluppata. Un danno prefrontale, specie nella parte dorso-laterale, può minacciare seriamente l’integrità di questa abilità.

Nell’articolo del 12 aprile 2022, il Sè si apprende, abbiamo visto che l’abilità di conoscere la propria individualità (Sè) l’apprendiamo nel corso del neurosviluppo.

Abbiamo letto anche un’altra cosa, i soggetti con disturbo dello spettro autistico, per un’anomala selezione delle informazioni provenienti dal proprio corpo, possono manifestare i segni clinici di un “disordine dello sviluppo del Sè” (disordine dello sviluppo del linguaggio, relazione atipica).

Oggi, in questo articolo, il blog “autismo fuori dagli schemi” intende offrire un ulteriore opportunità di riflessione su una questione molto intima con lo sviluppo del sè: come sviluppiamo la nostra capacità di essere mentalmente flessibili (persone capaci di modificare velocemente il loro comportamento e i loro schemi di pensiero quando le circostanze esterno lo esigono)?

Oppure, se il lettore preferisce, visto che la psicologia negli ultimi decenni ha definito e misurato molto bene “il cosa significa essere mentalmente flessibile”, quest’articolo vuole informarci sul “come si diventa neuroflessibile”?

Per fare un esempio, abbiamo velocemente interiorizzato il fatto di non strigerci la mano in questo tempo del Covid-19, addirittura, giriamo per le strade adattandoci a chi dare la mano ed a chi sfiorare il pugno con il nostro pugno.

Come si sono sviluppati i nostri cervelli, e cosa deve accadere nel neurosviluppo, per garantirci di apprendere queste abilità?

In effetti, parallelamente agli studi psicologici, una popolazione sempre più numerosa di ricercatori ha mostrato interesse sulla stessa questione ma da un’altra prospettiva.

Questi ricercatori hanno cercato di conoscere cosa avviene nei nostri neuroni quando siamo in “modo flessibile” o in “modo rigido”.

 Hanno scoperto che la concentrazione di dopamina mantiene l’equilibrio tra “flessibilità e stabilità mentali”. Inoltre, hanno scoperto che la concentrazione di questa molecola diminuisce con l’età, cosa che sposta l’ago della bilancia verso la rigidità con il passare degli anni. In effetti, il tracciato del nostro modo di essere flessibili segue una U capovolta, raggiungendo il suo massimo tra i 20 ed i trent’anni, prima di iniziare il suo declino.

Eppure, va preso atto che le terapie dopaminergiche non hanno modificato in modo significativo questo tracciato.

Per questo, si comprende facilmente quanto interesse circola intorno ad un altro filone di ricerca: provare a definire i circuiti neuronali dei vari processi che, nel loro insieme, daranno fonte alla rete neuronale delle nostre funzioni esecutive.

Prima di soffermarmi sui neurostati della flessibilità vorrei ricapitolare alcune conquiste di conoscenza.

Come accennato sopra, la psicologia ha studiato a fondo la nostra flessibilità cognitiva ed ha collocato questa importante (adattiva) abilità in un insieme di abilità umane definite “funzioni esecutive”.

Grazie a questa abbondante mole di lavori scientifici possiamo sostenere che le funzioni esecutive (capacità di adattare i nostri comportamenti al contesto) sono garantite da tre processi: la flessibilità (di cui ci stiamo occupando), la capacità di adeguare la memoria di lavoro, la capacità di inibire le reazioni premature.

Perchè, quando ci prendiamo cura di persone con manifeste difficoltà nell’adattare le risposte motorie al contesto, è importante conoscere questi vari processi dai quali dipendono le funzioni esecutive?

Perchè ci migliora nella diagnosi e nelle proposte terapeutiche.

Infatti, di fronte ad una persona che ha subito un danno nella corteccia prefrontale dorsolaterale, non mostreremo stupore se il nostro paziente dovesse mostrarsi “psicorigido”. Allo stesso tempo, siamo tenuti a sapere che questa specifica area cerebrale, essendo coinvolta nel funzionamento della memoria di lavoro, non può essere responsabile di tutte le condizioni cliniche ove è compromessa la flessibilità mentale.

Ecco il perchè, le neuroscienze moderne non hanno liquidato la faccenda affermando che la corteccia prefrontale è sempre responsabile del nostro essere mentalmente flessibili.

In questi decenni di affannosa ricerca, finalizzata al voler conoscere cosa accade nel nostro cervello quando velocemente ci adattiamo ad esigenze mutevoli, i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di due reti corticali capaci di garantirci le funzioni esecutive: la rete fronto-parietale laterale, definita anche rete di controllo esecutivo, e la rete insulare e cingolata mediana, detta anche rete di salienza.

Quello che è di straordinaria importanza, specie per chi vuole prendersi cura di soggetti con disturbo dello spettro autistico, è lo studio della connettività funzionale tra queste due reti.

Infatti, siamo venuti a conoscere che non può esserci flessibilità mentale qualora le associazioni tra questi due sistemi di rete dovessero essere molto stabili (ridotta potatura sinaptica o ridotta selezione esperienziale).

Questo significa anche un’altra cosa: la psicorigidità dell’anziano (coinvolgimento primario del sistema della memoria di lavoro), la psicorigidità della pubertà (ove il sistema di controllo fatica a contenere il sistema limbico che si sviluppa in anticipo), la psicorigidità del soggetto con autismo, hanno markers neuronali molto diversi tra loro.

Quello che compromette la “flessibilità mentale” nel soggetto con autismo è : 1)un disordine nello sviluppo della rete di salienza, che continua a mostrarsi iperattiva agli stimoli ambientali, 2) un deficit delle connessioni di questo sistema con la rete di controllo esecutivo.

Volendo riassumere, possiamo trovarci di fronte a tre grosse categorie di persone che mostrano eccessivo “psicorigidità”. Il gruppo di persone ove una noxa neurodegenerativa, specie nella corteccia anteriore, rende impossibile l’adattamento veloce alle condizioni mutevoli. Il gruppo di adolescenti, ove un ritardo nella “maturazione” delle connessioni tra il sistema limbico, lo striato, e il lobo frontale, non garantisce l’interazione tra motivazione, emozione, e capacità di riflessione.

Infine, un terzo gruppo, ove per un difetto di potatura nelle aree sensori-motorie, in particolar modo di quelle insulari e della corteccia cingolata mediana (rete di salienza), e per un difetto di sincronizzazione di queste aree da parte delle strutture profonde, è evidente un disordine nella capacità di monitorare gli eventi esterni e, soprattutto, di sincronizzarli con il flusso delle informazioni interne al fine di consentire all’individuo (Sè) di passare da un’informazione ad un’altra.

In effetti, l’agilità necessaria per reagire agli eventuali cambiamenti nel nostro ambiente è regolata innanzitutto dal filtro sensoriale.

La clinica ci mostra che i soggetti con autismo manifestano difficoltà nel sottrarsi ai loro schemi abitudinari.

Sovente, questo rende difficile la loro vita e quella delle persone che vivono con loro.

Oggi, le neuroscienze ci hanno fornito un interessante pezzo di informazione.

I soggetti con autismo non devono difendersi da una incapacità primaria nell’adeguare il contenuto della memoria di lavoro ( componete un progetto e una nuova informazione vi perviene per cui bisogna integrarla senza dimenticare il resto del progetto), e nemmeno mostrano una primaria incapacità nell’inibire le reazioni premature (evitare di usare le posate appena vedo il cibo).

I soggetti con autismo mostrano una minore flessibilità mentale per un coivolgimento primario della rete di salienza, cioè di quella rete neuronale che scopre delle informazioni evidenti, che si differenziano dalle altre per la loro pertinenza o per la loro singolarità.

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*