Nel campo dei “disturbi mentali” si vive un momento di grande fermento, forse una vera rivoluzione.
Infatti, dopo aver spostato le attenzioni dallo “psicologico” al “biologico”, negli ultimissimi tempi si registra che anche gli scienziati più “cervellocentrici” hanno iniziato ad includere altri organi o sistemi che “storicamente” non appartenevano al mondo della neuroscienza.
Tra questi, il sistema immunitario è quello che riscuote più interesse nello studio della patogenesi dei “disturbi mentali”.
Per comprenderlo basta pensare che dieci anni orsono le pubblicazioni sull’argomento erano meno di 2000 mentre oggi sono più di 10.000.
Eppure, questo dato non dovrebbe destare meraviglia.
Infatti, nel secolo scorso, l’approccio al “mentale” è stato dapprima dinamico e poi comportamentale. In entrambi i casi nemmeno il cervello veniva preso in considerazione. Solo nella seconda metà del secolo scorso, con il cognitivismo, si comincia a studiare il cervello nell’ambito dei disturbi della mente. Ma, con i cognitivisti, il cervello (la corteccia cerebrale) diventa il sovrano del corpo e, per questo suo ruolo nobile, deve essere ben protetto. Per questo si è pensato che, grazie alla barriera emato-encefalica, fosse separato dal resto del corpo ed anche dal sistema di difesa o immunitario.
Si intuisce che, in quegli anni, si è stati dell’avviso che il cervello ed il sistema immunitario conducessero vite separate e che si incontrassero solo in circostanze ostili, ossia quando le cellule immunitarie “impazziscono” ed aggrediscono i neuroni come la sclerosi multipla.
Dagli anni ottanta del secolo scorso la biologia evolutiva ha condizionato la ricerca e, dunque, la conoscenza; capovolgendo la prospettiva dalla quale guardiamo la questione.
A rigor di logica, da un punto di vista evolutivo ha perfettamente senso che il cervello ed il sistema immunitario condividano funzioni biologiche e si siano evoluti in sincronia nel tempo. Infatti, sono sia sensori che effettori ai cambiamenti della realtà esterna, specie quando questa rappresenta una sfida per la sopravvivenza del corpo. Quando una minaccia viene rilevata o “sentita”, il nostro corpo si è evoluto per agire in modo coordinato per garantire le migliori possibilità di sopravvivenza possibili. La prima risposta del cervello alla percezione della minaccia da parte dei neuroni sensoriali è quella di innescare una serie di attivazioni della circuiteria neuronale in modo da garantire al corpo di allontanarsi dal pericolo. Allo stesso tempo, le cellule del sistema immunitario si ridistribuiscono in tutto il corpo per garantire che qualsiasi possibile danno a tessuti ed organi sia immediatamente ed efficientemente affrontato.
Su tale presupposto, siamo invitati a porci qualche domanda.
Davvero il nostro cervello è totalmente isolato dalla protezione di difesa (immunitaria)?
Non è insensato pensare che un organo così importante (pesa la cinquantesima parte del corpo e brucia il 20% delle energie del corpo) non sia protetto dall’organismo?
E, se non dovesse esserci questo isolamento, quanto è importante il sistema immunitario nel funzionamento del cervello sano, nel suo sviluppo (neurosviluppo) e nelle sue malattie?
Ovviamente, prima di noi, queste domande se le sono poste autorevoli rappresentanti della comunità scientifica fin dalla fine degli anni novanta. Lo testimonia il fatto che, in quegli anni, Schwartz e i suoi collaboratori scoprirono che dopo una lesione nel S.N.C. i macrofagi e le cellule T proteggevano i neuroni dai danni e ne favorivano la guarigione.
Da allora, sono state raccolte molte evidenze che le cellule immunitarie svolgono un ruolo importante nel cervello e non solo nelle patologie autoimmuni.
Infatti, si è potuto vedere che nei topi deprivati di sistema immunitario, malattie neurodegenerative come la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e l’Alzheimer progrediscono più velocemente; ma, ripristinando il sistema immunitario, l’effetto si invertiva.
Negli ultimissimi anni, la ricerca ci ha mostrato che le meningi (recentissima la scoperta della quarta meninge, vedi blog) rappresentano un vero “paradiso immunologico” e che il midollo osseo del cranio è una fonte locale di cellule immunitarie.
Sappiamo che, nel caso di lesioni al cervello oppure in presenza di agenti patogeni, specifici segnali vengono inviati dal midollo osseo cranico al liquor con conseguente produzione e rilascio di cellule; anche se, non sappiamo ancora se le cellule immunitarie prodotte in loco regolano la risposta immunitaria più che essere loro stesse ad attaccare.
Nonostante l’enorme importanza di queste conoscenze, sia nel farci conoscere meglio la nostra Natura sia nel farci prendere cura dei pazienti, all’interno del blog “autismo fuori dagli schemi” sento il dovere di sottolineare l’importanza del sistema immunitario nel “cervello sano” o, meglio ancora, nel neurosviluppo.
Dal 2015 sappiamo che la microglia è importante per lo sviluppo del cervello poichè opera un lavoro di potatura dei circuiti neuronali (taglia i collegamenti neuronali). Un’alterazione della microglia, pertanto, determina un numero eccessivo di sinapsi con conseguenze sull’apprendimento e sulla socialità.
Chiunque abbia un minimo di formazione intuisce che un disordine di questo processo determina la genesi di un disturbo del neurosviluppo.
Anche le cellule immunitarie prodotte in loco si sono rivelate essenziali nel neurosviluppo. Infatti, i topi a cui mancano alcune di queste cellule hanno difficoltà nello sviluppo di determinate abilità.
Ancora più interessante può essere la ricerca condotta presso il Massachusetts Institute of Technology da Gloria Choi che mostra come, elevando il livello delle citochine in femmine di topo gravide, nella prole si manifestano disordini del neurosviluppo e comportamenti di tipo autistico.
Non ci sono dubbi, è un’epoca entusiasmante nella storia delle “malattie mentali”.
Di sicuro si è aperta la strada per nuove strategie terapeutiche.