Spesso la medicina ha etichettato, erroneamente, i soggetti con disturbo dello spettro autistico come soggetti con deficit delle intenzioni o, più nello specifico, con difficoltà nella lettura delle altrui intenzioni.
Cosa sappiamo, grazie alle neuroscienze, dello sviluppo delle intenzioni (agente intenzionale)?
La biologia evolutiva sostiene che, circa duecento milioni di anni fa, con la comparsa dei mammiferi venne alla luce un nuovo psicostato: l’agire intenzionalmente rafforzato da un nuovo livello di funzionamento esecutivo. In altri termini, duecento milioni di anni fa, fanno la comparsa sul pianeta Terra organismi che sanno pensare e pianificare prima di agire, capaci, cioè, di simulare cognitivamente le azioni che potrebbero compiere e di valutare questi piani di azione per decidere quale eseguire e come eseguirlo.
E’ un cambiamento epocale. E’ una profonda rivoluzione “psicologica”.
I rettili, come altri organismi diretti ad uno scopo, non “sperimentano” le proprie percezioni e le proprie azioni in modo esecutivo. Essi percepiscono il mondo esterno.
I mammiferi, non solo “sperimentano” le proprie percezioni e le proprie azioni in modo esecutivo ma agiscono su di esse da quel livello esecutivo
. Essi sono consapevoli delle proprie azioni e delle proprie percezioni.
Appare ovvio che alla base di questa trasformazione “psicologica”, estremamente adattiva (al cospetto di ambienti che cambiano in modo rapido e imprevedibile è meglio non avere comportamenti programmati), deve esserci stata una sostanziosa modifica strutturale, funzionale e, soprattutto, organizzativa dei sistemi nervosi dei mammiferi rispetto agli altri organismi. Infatti, solo modifiche cerebrali potevano consentire l’apprendimento di comportamenti flessibili.
Visto che un comportamento programmato (rettili) è troppo rigido per guidare con coerenza un’azione efficace, un comportamento flessibile (mammiferi) richiede la necessità di percepire che i propri atti causano degli effetti nell’ambiente e di apprendere quel collegamento.
Pertanto, è necessario da parte dell’organismo di avere una prospettiva dalla quale prestare attenzione non solo agli effetti ambientali della propria azione, in genere visivamente, ma anche all’azione intenzionale e all’azione in sé, in modo propriocettivo, e correlare queste informazioni tra loro e all’obiettivo, e archiviare in memoria la relazione.
In altri termini, è necessario che l’organismo sia provvisto di un’organizzazione neurologica capace di garantire un valore (fame) o un obiettivo di riferimento (preda), un dispositivo sensoriale (vista, propriocezione, enterocezione, aree motorie), e un dispositivo per confrontare la percezione e l’obiettivo in modo da prendere e da eseguire una decisione comportamentale (le aree neuronali precedenti più aree associative terziarie).
Appare ovvio che un comportamento flessibile garantisce al singolo organismo di trovare nuove strade per affrontare nuove circostanze impegnative, rendendoli agenti psicologici, ma richiede un sistema nervoso molto complesso (mammiferi, primati).
Sappiamo bene, infatti, che le “decisioni” dei primi organismi viventi (unicellulari) non richiedono nemmeno la separazione tra meccanismi sensoriali e decisionali in quanto dispongono solamente di molecole sensibili alle sostanze nutritive e velenose, da cui scaturiscono automaticamente certe azioni.
Più di cinquecento milioni di anni fa comparve una creatura vermiforme dotata di sistema nervoso
. La funzione di un sistema nervoso è quella di collegare i meccanismi della percezione e dell’azione, un’integrazione che avviene nei gangli.
Appare ovvio che, pur avendo integrati i meccanismi separati della percezione e dell’azione, la loro locomozione è perlopiù casuale o guidata dallo stimolo poiché manca l’organizzazione neurologica per vincolarla alla comparazione con una forma di obiettivo interno che genera la direzione.
La caratteristica di questi vermi è l’assenza di un “controllo comportamentale”.
Essi non possono inibire né controllare l’esecuzione dell’azione. Ciò che apprendono è semplicemente la posizione verso cui dirigere i propri movimenti innati.
Con la comparsa di corpi adattivi sempre più complessi (dotati di denti, artigli, appendici) è necessario anche difendersi da predatori sempre più abili.
Per tale esigenza i sistemi nervosi, dopo la loro comparsa (vermi) al fine di collegare la percezione con l’azione, subiscono la prima grande trasformazione in termini organizzativi: generano un’organizzazione di controllo a feedback (assoni retroattivi).
I pesci, successivamente (trecentocinquantamila anni fa) gli anfibi ei rettili, rappresentano i primi organismi comparsi sulla Terra capaci, rispetto ai vermi, di comportamenti molto flessibili nel tempo e nello spazio (possono scegliere tra una strategia siedi-e-aspetta oppure una di inseguimento), grazie ad un’organizzazione di controllo a feedback dei loro sistemi nervosi.
E’ un passaggio cruciale, gli agenti diretti a uno scopo non sono soltanto guidati dallo stimolo, ma dirigono le proprie azioni verso obiettivi. E gli obiettivi non sono entità misteriose. Gli obiettivi sono percezioni del mondo (situazioni immaginate percettivamente) che l’organismo desidera realizzare (basterebbe questa conoscenza per decretare la fine del comportamentismo).
Per questo bisogna necessariamente essere provvisti di un’organizzazione capace di inibire azioni indesiderate, favorendo la flessibilità del comportamento.
Come letto sopra, questa flessibilità esplode con la comparsa dei mammiferi.
I mammiferi, infatti, dirigono le proprie azioni verso gli obiettivi non solo in modo flessibile (organizzazione di controllo a feedback) ma anche in modo intenzionale (sincronizzazione tra circuiterie corticali specializzate in funzioni molto differenti tra di loro), poiché, prima di agire, simulano percettivamente piani di azione verso il proprio obiettivo.
Il lettore attento coglie un aspetto molto importante.
La biologia evolutiva ci mostra che per produrre azioni efficaci gli organismi devono percepire gli ambienti, ma non di ogni cosa presente nell’ambiente (filtro sensoriale).
Gli organismi devono percepire solamente i suoi aspetti rilevanti per le proprie azioni.
In effetti, animali che si comportano in maniera differente percepiscono il mondo in maniera differente al punto che l’organismo e l’ambiente si codeterminano a vicenda.
Quando ai fondamenti cerebrali di queste nuove abilità cognitive, dobbiamo tener presente che i mammiferi sono dotati di una neocorteccia a sei strati, che supera di gran lunga la struttura a tre strati dei rettili. I mammiferi hanno, inoltre, un numero maggiore di aree corticali funzionalmente differenti ed un corpo calloso molto spesso.
Per ultimo, ma non ultimo, i mammiferi hanno un neurosviluppo molto lento e sviluppano il loro sistema nervoso attraverso l’interazione con l’ambiente e non dentro un uovo come i rettili.
Ricapitolando: noi umani siamo esseri intenzionali, capaci anche di comprendere le altrui intenzioni.
Lo siamo perché nel corso dell’evoluzione sono comparsi sistemi nervosi per collegare le due periferie (sensoriale e motoria). Successivamente, sono comparse modifiche dei corpi e di conseguenza modifiche strutturali, funzionali, organizzative dei sistemi nervosi. Questo ha comportato un progresso dei comportamenti
. Comportamenti flessibili sostituivano comportamenti rigidi grazie ai sistemi di controllo a feedback.
Successivamente, si modificava l’architettura delle cortecce cerebrali.
Dai tre strati si passava a cortecce per il 96% a sei strati (umani).
Questo garantiva una immensa sincronizzazione tra il mondo esterno ed il corpo. Si poteva in tal modo generare un nuovo psicostato: sapere ciò che si stava facendo.
La nostra (uomini) è una storia recente.
Una storia condizionata da un apparente handicap.
Veniamo al mondo estremamente neuroimmaturi.
Sarà questa nostra “debolezza” a generare la capacità di “leggere le intenzioni dell’altro”.
Ma questa è un’altra storia, a lungo trattata dal blog “autismo fuori dagli schemi”.