Negli anni settanta del secolo scorso, mentre la maggioranza dei tecnici che si prendevano cura dei bambini con autismo iniziava ad affidarsi al comportamentismo per risolvere i problemi per i quali la psicoanalisi aveva fallito, altri studiosi decidevano di percorrere un sentiero molto più impegnativo ma estremamente eccitante: “esplorare i sentieri della neurobiologia per cercare di conoscere sempre meglio il Sistema Nervoso e, perché no, lo sviluppo della nostra vita mentale” (ritenuta inesplorabile e, dunque, non oggetto di studio dai comportamentisti).
Da questa prospettiva, si comprende il motivo per cui alcuni ricercatori cominciarono a raccogliere campioni di tessuto cerebrale umano dai cadaveri di bambini morti immediatamente dopo il parto, di adulti vittime di traumi cranici, di malati oncologici, di persone anziane.
Questi neuroscienziati asportavano piccoli blocchi di neocortex, la tagliavano a fettine sottilissime, per poi fotografarla per mezzo di un microscopio elettronico e cominciavano a contare le sinapsi.
Infatti, in quegli anni, l’interesse dei neurobiologi cominciava a spostarsi dal neurone al collegamento tra di essi (rete neuronale).
E’ stato grazie a queste ricerche se, da circa cinquant’anni, abbiamo iniziato a conoscere che in adolescenza perdiamo circa un terzo delle connessioni nervose.
Infatti, sin dalle prime ricerche, è emerso che i cuccioli d’uomo di due anni hanno ancora 1,6 miliardi di sinapsi per millimetro cubo di tessuto cerebrale mentre in quello dei ragazzi dai 15 ai 20 anni ne rimangono 1,1 miliardi di sinapsi per millimetro cubo di tessuto cerebrale.
In poco tempo si osservò che durante la gravidanza, e fino a poco dopo il parto, le sinapsi del cucciolo d’uomo crescono vigorosamente fino a formare una rete fittissima che inizia ad essere “potata” (synaptic pruning) ben presto; ove il verbo potare sta a testimoniare che i rami deperiti, come quelli che crescono troppo velocemente, vanno eliminati per non indebolire tutta la pianta.
Dunque, per una crescita sana del cervello (neurosviluppo) è indispensabile sfoltire le connessioni nervose (fenomeno presente anche nel resto del creato e non solo nei mammiferi).
Ad oggi, nessun tecnico che presta cura a soggetti con disordine del neurosviluppo può permettersi di non conoscere che il cervello si adatta alle condizioni ambientali eliminando le sinapsi ridondanti (apprendimento).
Per questo, metaforicamente, l’apprendimento è stato più volte paragonato al lavoro di un artista che prende il marmo e comincia a togliere dei frammenti per far emergere una “scultura” o “rete neuronale”.
Ricerche effettuate negli anni ottanta del secolo scorso, su un nucleo talamico di embrioni di gatto, confermarono che gli assoni terminano con ramificazioni simili a radici e ricoperte di numerose sinapsi. Tramite queste sinapsi, più o meno per caso, gli assoni si agganciano ai neuroni del corpo genicolato. Anche da questi studi, in linea con quanto osservato in precedenza, si vede che progressivamente molte sinapsi tendono a scomparire. Pertanto, emerse che nel corso dell’apprendimento i due processi (formazione e scomparsa) avvengono parallelamente, anche se non in equilibrio (all’inizio prevale la formazione, nell’adolescenza la riduzione).
E’ come se il cervello in una prima fase viene chiamato a sperimentare quali sono i collegamenti neuronali di cui ha bisogno il corpo per operare al meglio nel contesto in cui si è trovato a vivere.
L’insaziabile desiderio dell’uomo di “conoscersi” ha portato, in tempi più recenti, a nuove ed importanti conoscenze. Infatti, oggi possiamo conoscere alcuni meccanismi biologici che regolano quest’importantissimo processo di potatura.
A mio avviso, queste conoscenze non possiamo continuare ad ignorarle in quanto ci consentono di comprendere cosa accade nel cervello di quei cuccioli d’uomo che, intorno ai due anni di età, ricevono la diagnosi di autismo.
Le neuroscienze da anni concordano sul fatto che la potatura sinaptica, fondata sulla ridondanza e sulla plasticità, rende la rete più economica ed efficiente.
Ma come viene regolato un processo così importante per lo sviluppo delle nostre individualità e delle nostre abilità?
Per la prima volta, nel 2007, abbiamo iniziato a conoscere qualcosa in merito progredendo sempre di più nelle conoscenze.
Infatti, nel 2007 per la prima volta si dimostrò che una proteina (Clq), ben conosciuta dagli immunologi in quanto rappresenta una sostanza coinvolta nella nostra prima linea di difesa contro agenti patogeni e cellule danneggiate, si ancora sulla membrana neuronale e attiva un’altra proteina (C3) che permette alle cellule della microglia di distruggere le sinapsi soprannumerarie.
Infatti, inibendo Clq viene a mancare l’organizzazione neuronale nel corpo genicolato del topolino.
Anche gli astrociti entrano in gioco nel processo di potatura sinaptica, specie durante il sonno, a discapito di quei contatti meno solidi (chi fa poco esce di scena).
In effetti, tra le sinapsi sembrerebbe esserci una notevole concorrenza.
Infatti, di recente (Hisashi Umemori e Masahir Yasuda dell’ Harvard Medical School) è stato conosciuto un enzima (proteina), chiamato JAK2, che consente alle sinapsi attive di eliminare quelle vicine (chi lavora elimina la concorrenza), svolgendo un ruolo fondamentale nel processo di potatura sinaptica (le sinapsi inattive vengono eliminate dalle loro vicine attive tramite un segnale di eliminazione che stimola l’enzima JAK2).
Non vi sono dubbi, lo studio dei disordini del neurosviluppo, dagli autismi alle schizofrenie, così come dei processi neurodegenerativi (es. Alzheimer), non potranno non beneficiare da queste nuove conoscenze. Lo testimonia il fatto che, i primi studi confermano che inibendo il sistema immunitario la perdita di connessioni nervose nella prima fase dell’Alzheimer si riduce di molto. Allo stesso tempo, i ricercatori del settore sono sempre più convinti che uno sfoltimento insufficiente nei primi mille giorni di vita (underpruning), a prescindere dalla noxa patogena, possa favorire l’autismo.