Dagli anni ottanta del secolo scorso la ricerca scientifica, sia attraverso test psicometrici che attraverso esami neuro-strumentali ed esami necroscopici, ha cercato di comprendere sempre di più che cosa accade nel cervello di una persona affetta da Alzheimer.
Ecco quanto questa ricerca è riuscita a produrre finora: nel cervello dei pazienti una proteina chiamata beta-amiloide si deposita in accumuli chiamati placche al di fuori dei neuroni, mentre all’interno dei neuroni la proteina tau si raggruma in filamenti ritorti chiamati fibrille.
Negli anni abbiamo anche appreso che la proteina tau svolge un’importante funzione, ovvero quella di stabilizzare la struttura di cellule (neuroni) molto plastiche, ma se alterata forma dei fasci e si stacca dal citoscheletro inducendo la perdita di funzione del neurone fino alla sua morte. Inoltre, abbiamo conosciuto che le placche di amiloide, attraverso un processo infiammatorio, scatenano un processo a catena che porta alla morte dei neuroni con conseguente declino delle abilità tipicamente umane.
Queste conoscenze, apparentemente molto “specialistiche” e per pochi addetti ai lavori, negli ultimi anni hanno subito diversi “aggiornamenti” al punto che stanno diventando molto utili anche per quei quadri clinici apparentemente distanti da quelli neurodegenerativi, quali ad esempio i quadri clinici secondari a disordini del neuro-sviluppo.
Infatti, continuando gli studi in ambito neurodegenerativo, si è scoperto che la semplice presenza di placche non porta necessariamente a sintomi. In altri termini, gli esami necroscopici hanno evidenziato che i danni anche gravi al tessuto cerebrale non portano necessariamente ad una diminuzione delle nostre abilità più tipiche. Per questo, cervelli molto danneggiati potevano appartenere a persone che in vita non avevano mostrato alcun sintomo specifico (lo studio più noto è stato condotto su suore).
Continuando la ricerca è stato possibile comprendere che la differenza decisiva, tra i malati (deficit cognitivi in vita) e gli osservati senza segni clinici, consisteva nel fatto che nei cervelli di questi ultimi le reazioni infiammatorie (neuro-infiammazione) erano quasi inesistenti.
Per tutto questo, i ricercatori del settore hanno iniziato a sostenere che l’infiammazione deve essere considerata una delle cause della demenza mentre la sua assenza potrebbe proteggere, pur in presenza di altre cause (atrofia corticale molto accentuata ai test neuroradiologi).
Ad oggi, cosa vogliono intendere le neuroscienze con il termine neuro-infiammazione?
La neuro-infiammazione è un fenomeno infiammatorio che compromette la neuroplasticità, ossia la capacità dei neuroni di funzionare e rigenerarsi, in seguito ad una attivazione delle cellule della glia e alla produzione di abbondanti citochine.
La neuro-infiammazione, come anche lo stress ossidativo, porta ad una riduzione della sintesi dei neurotrasmettitori con conseguenze “drammatiche” specie in un cervello in via di sviluppo.
Negli ultimi anni un numero crescente di tecnici sottolinea sempre più l’importanza dei primi mille giorni di vita.
Infatti, dal concepimento alla fine del secondo anno di vita il modo in cui i neuroni si generano, si differenziano, e si connettono determina ciò che accadrà in seguito. Le neuroscienze ci hanno abbondantemente mostrato che in questa fase della vita del cucciolo d’uomo il cervello è teatro di una frenetica attività, con miliardi di neuroni che si formano, migrano verso la loro sede definitiva e si connettono tra di loro, dando forma al connettoma, ove innumerevoli connessioni si formeranno e si perderanno per tutta la vita dell’organismo.
Quello che è emerso negli anni, grazie alla ricerca, è che la presenza attenta ed amorevole dei genitori (carezze delle mamme), così come un ambiente ricco di stimoli sensori-motori ed una buona alimentazione, aiuta il cervello a sviluppare la sua fittissima rete neurale (connettoma).
Allo stesso tempo, la neuro-infiammazione ostacola lo sviluppo del cervello del cucciolo d’uomo.
Comprendere i meccanismi biologici alla base del processo neuro-infiammatorio contribuirà sia a farci “invecchiare meglio” sia a proteggere i nostri cuccioli dalla minaccia dei disordini del neuro-sviluppo.