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LE BASI NEUROBIOLOGICHE DEL SE’

                                                                  

Le moderne neuroscienze, come abbiamo letto nell’ultimo articolo, ci mostrano che percepiamo il mondo non per come è ma per come è utile per noi.

Ma chi percepisce?

Chi è l’omino dentro ognuno di noi che ci informa su cosa ci sta capitando e, soprattutto, sul come stiamo “vivendo” ciò che stiamo facendo?

In altri termini: qual è la “cosa” che fa il percepire?

Nel suo libro, Come il cervello crea la coscienza, il neuroscienziato Anil Seth non ha dubbi: il sé non è altro che una percezione.

Dal senso di identità personale (essere il dottor Parisi, come essere il padre dei miei figli), alle esperienze di avere un corpo e di “essere” semplicemente un corpo, non sono altre che percezioni plasmate dall’evoluzione e bisognevoli di uno sviluppo ontogenetico utili per tenermi in vita.

E’ una vera rivoluzione scientifica rispetto all’idea che il sé sia in qualche modo invisibile, immutabile, trascendentale, sui generis; concetti che risalgono all’ideale cartesiano dell’anima immateriale che, purtroppo, continuano ad avere una profonda risonanza psicologica (anche in molti addetti ai lavori).

Come tutte le percezioni, ad esempio la percezione della mia penna sul tavolo, dove non percepisco le sensazioni di forma, colore, movimento in maniera separate ma integrate come penna, anche la percezione di sé è sub-modulare ma, grazie all’integrazione “tipica” della percezione, l’essere un sé viene garantito al corpo come senso di identità personale.

Pertanto, come tutte le percezioni, essere sé è distribuito ed integrato.

Le aree del sistema nervoso collegate ad ogni cellula del corpo non possono essere escluse nella genesi e sviluppo di questa percezione. Così come le aree neuronali coinvolte nella percezione del mondo e quelle deputate alle memorie.

E’ grazie allo sviluppo e all’integrazione di questi circuiti altamente specializzati che, come ricordato sopra, l’esperienza di essere sé assume carattere unificato, tanto quanto la sincronizzazione colore-forma mi consente di vedere la penna mentre le sincronizzazioni occipito-parieto-temporali mi garantiscono di astrarre ancora più significato (“sento” penna- “vedo”penna).

Per il neuroscienziato britannico la percezione di sé non riguarda la scoperta di cosa vi è là fuori nel mondo, oppure qui dentro il corpo. Si è selezionata nel corso dell’evoluzione (ovviamente si sono selezionate le strutture e il tipo di organizzazione neuronale) per il controllo e la regolazione dei parametri fisiologici.

E’ una percezione legata alla sopravvivenza dell’individuo.

E’ un punto scientifico chiave del pensiero di Anil Seth: “il senso di proprietà dipende dall’integrazione di segnali sia esterocettivi sia enterocettivi.

Quando da giovane neurofisiopatologo (ahimè, molti anni fa) mi capitò di confrontarmi per la prima volta con bambini autistici, ricordo che un genitore “molto battagliero”, all’epoca, suggeriva di abolire, per l’autismo, ogni riferimento a termini come “Io” e “Sé”.

Per questo genitore, per decenni, i tecnici del settore avevano mostrato eccessivo interesse per il “Sé” o per l’Io “deficitario” di questi bambini senza minimamente occuparsi del cervello di quei bambini.

 Lui non negava l’esistenza di un “sé”, affermava solo che il pendolo era stato “tirato” tutto in una direzione per cui poteva essere posizionato al centro solo dopo che qualcuno (l’invito era rivolto ai genitori) l’avesse “tirato” nella direzione opposta (cancellare il sé e l’Io dalla questione autismo).

Che “bella rivoluzione” per quel genitore, oggi il pendolo è stato posizionato al centro dalle neuroscienze.

Il Sé è una percezione che si genera dall’integrazione dei segnali sensoriali esterocettivi/enterocettivi.

In termini neurobiologici, i soggetti con autismo non possono non avere un disordine dello sviluppo di tale percezione.

 Una neuro-abilitazione intensiva, precoce, sensori-motoria rappresenta una valida proposta terapeutica.

Anche Anil Seth, nel suo libro, mostra un grande interesse per la “teoria della contingenza senso-motoria”.

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