Più volte, attraverso tante pubblicazioni del blog “autismo fuori dagli schemi”, ho sostenuto che viviamo in un tempo fortunato. Infatti, chi si occupa di autismo dispone di una mole di informazioni scientifiche che, in un passato anche recente, nessuno aveva potuto avere a disposizione.
Sappiamo che l’autismo è uno spettro di tratti diversi e sovrapposti (autismi) e, pertanto, anche le cause (genetiche ed epigenetiche) non possono non essere uno spettro.
Questo, che apparentemente potrebbe sembrare un limite insormontabile, dovrebbe invitarci, almeno in questo tempo, ad un cambio di “prospettiva” ed a concentrare molte delle nostre attenzioni sul neurosviluppo.
Il primo vantaggio potrebbe essere quello di dividere lo spettro in un numero più piccolo di “campi”, che dovrebbe ispirare cure e terapie più coerenti o semplicemente aiutarci a comprendere l’autismo più in generale.
Certo, anche da questa “prospettiva” il compito potrebbe apparire difficile e, dunque, scoraggiare.
Infatti, nessuno può studiare un vero cervello umano mentre si sviluppa.
Eppure, non dobbiamo assolutamente smettere di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Questo perchè le moderne neuroscienze, rileggendo i tratti diversi e sovrapposti del soggetto con autismo, non nutrono dubbi: le persone con autismo hanno difficoltà a filtrare le informazioni sensoriali o in entrata.
Significa che quando le cellule nervose tentano di collegarsi per formare le reti nervose (connettoma), si generano grandi differenze nello sviluppo di quei cervelli.
Studi recenti hanno evidenziato che questo potrebbe essere causato, in alcuni casi, anche da un disordine nel tempo di maturazione dei vari neuroni. Alcuni neuroni, più maturi, si mostrerebbero fuori tempo. Pertanto, il cervello di quel cucciolo d’uomo si svilupperebbe in modo diverso. Questo sviluppo “fuori tempo” di alcuni neuroni potrebbe influenzare l’equilibrio tra neuroni eccitatori e neuroni inibitori con “drammatiche” conseguenze sul connettoma.
Infatti, dagli studi di anatomia e fisiologia del sistema nervoso, abbiamo appreso che l’input sensoriale raggiunge la corteccia cerebrale sensoriale specifica dopo essere stazionato in un nucleo talamico specifico. Giunto al 4° strato della colonna corticale sensoriale, lo stimolo (potenziale d’azione) raggiunge il 6° strato colonnare per andare ad ECCITARE un neurone specifico situato nel nucleo reticolare del talamo. Quest’ultimo neurone, a questo punto (eccitato), andrà ad INIBIRE il neurone specifico talamico, bloccando, in tal modo, il flusso di informazione sensoriale verso la specifica corteccia.
Dunque, lo studio dell’anatomia e della fisiologia del sistema nervoso umano ci può essere di grande aiuto per poter comprendere COME, in un cervello che si sviluppa in modo diverso, si generano le difficoltà a filtrare le informazioni in entrata.
Non è una conquista di poco conto.
E’ una conquista che può cambiare la “prospettiva” dalla quale “guardiamo” i soggetti con autismo.
Infatti, nell’epoca in cui viviamo ed operiamo, siamo venuti a sapere che, ad ogni minuto che trascorre, ad ogni suono che vibra sulle nostre orecchie, ad ogni immagine che si imprime sulle nostre retine, le innumerevoli connessioni tra le cellule nervose dei nostri cervelli si rimodellano per farci percepire il mondo intorno a noi, oltre che NOI stessi.
Quest’ultimo punto trova testimonianza nel fatto che, i ricordi che si riferiscono al sè sembrano fruire di un accesso privilegiato al nostro sistema di conoscenze; li ricordiamo più facilmente di quelli che si riferiscono ad altri sè, oppure a dei luoghi (memoria semantica), o a degli oggetti.
Le moderne neuroscienze ci hanno fatto conoscere che questa nostra abilità (ricordare e legare gli attimi della nostra vita, cioè di mantenimento dell’identità) è legata allo sviluppo della nostra corteccia prefrontale mediana, specie nella sua parte dorsale.
Questo perchè, la corteccia prefrontale appartiene ad una rete neuronale che comprende le aree posteriori, specie parietali, e l’ippocampo (struttura neuronale del lobo temporale implicata nella memoria episodica).
E’ questo il motivo per cui, in molte patologie in cui il sè è frammentato (perdere la capacità di definirsi in rapporto agli avvenimenti del proprio passato, e a farsi un’immagine del sè nel futuro), gli specialisti vanno a ricercare nelle aree prefrontali le cause del quadro clinico.
Ma, l’autismo non è secondario ad una frammentazione del sè.
L’autismo, al massimo, è secondario ad un disordine nell’apprendimento del sè.
Per questo le cause devono essere ricercate nelle aree del cervello che regolano il filtro sensoriale.
Specie il filtro sensoriale di tutte quelle informazioni provenienti da ogni millimetro del corpo proprietario di quel cervello.
D’altronde cos’è il sè, se non un corpo propretario di un cervello complesso e, dunque, capace di riconoscersi dagli altri?
Questo, chi dovesse prendersi cura di bambini con autismo, non deve mai dimenticarlo.
Altrimenti si corre il grave rischio di stimolare reti neuronali che non necessitano di essere stimolate, mentre si continuano a mortificare aree del cervello di quel bambino che andrebbero quotidianamente ri-organizzate.