UNIVERSITÉ DE TOURS
Tesi per il Dottorato In MEDICINA:
del dottor Marco Guidotti
Il tatto al centro dell’autismo: un approccio sviluppante e terapeuticou
Presentata e sostenuta pubblicamente martedì 15 ottobre 2019 davanti a una giuria di docenti della Facoltà di Medicina dell’Università di Tours.
Autismo fuori dagli schemi offre alle lettrici e lettori del blog le conclusioni della tesi del dottor Marco Guidotti
L’approccio moderno all’autismo tende a descriverlo come un disturbo del neurosviluppo centrato sul soggetto, allontanandosi sempre più dalle problematiche madre-bambino come erano concettualizzate nella seconda metà del XX° secolo. La sensorialità assume allora tutta la sua importanza in questa visione, spingendoci a riflettere, a vedere diversamente e probabilmente anche a ridefinire ciò che è la relazione con l’altro. Tra i sensi di cui noi disponiamo, il tatto è quello che permette meglio questa esperienza. Definito da alcuni come l’«organo sociale» per eccellenza, il tatto è il primo a svilupparsi in utero e probabilmente quello che permette le prime interazioni con la madre. Fin dalla nascita, il suo ruolo sembra primario al momento dei contatti con i genitori: grazie ad esso, il bambino è allattato, cambiato, manipolato. Come abbiamo potuto vederlo, queste esperienze tattili sarebbero implicate anche nella costruzione dello schema corporeo, negli inizi dello psichismo e nello sviluppo dell’intersoggettività. Il tatto sarebbe allora alla base di fenomeni formanti per il neonato: la costruzione del soggetto come essere indipendente e la costruzione del soggetto tra gli altri esseri, in un preciso ambiente.
Ora, sono probabilmente questi aspetti che fanno difetto nell’autismo e che mettono in evidenza delle specificità nelle rappresentazioni del sé, degli altri e dell’ambiente. Applicati all’approccio sviluppante attuale, le particolarità tattili potrebbero essere allora all’origine di queste atipicità: come può costruirsi il bambino se non arriva a integrare correttamente le stimolazioni tattili che riceve? Questa ipotesi permetterebbe anche di stabilire un legame con le visioni centrate sulla relazione madre-bambino: le prime interazioni sarebbero effettivamente essenziali, ma l’assenza di effetto di queste non sarebbe dovuta alla madre. Quest’ultima non sarebbe responsabile di interazioni «difettose», ma sarebbe piuttosto il sistema sensoriale del suo bambino che sarebbe meno ricettivo a queste. Le particolarità tattili nell’autismo sarebbero allora il riflesso dei disturbi della relazione, delle incapacità a ritornare in relazione con sé stesso, con gli altri, con l’ambiente. In maniera provocatrice, noi potremmo suggerire anche l’idea che le due dimensioni autistiche proposte dal DSM-5 sarebbero solamente la conseguenza dei disturbi sensoriali descritti precedentemente. Da un punto di vista dello sviluppo, le particolarità tattili, probabilmente già presenti alla nascita, bloccherebberola capacità di ritornare in comunicazione con gli altri, (prima dimensione), e sarebbero all’origine, con dei meccanismi ancora misconosciuti, di comportamenti ripetitivi e stereotipati (seconda dimensione).
Tenuto conto di questa ipotesi, gli approcci terapeutici centrati sul tatto avrebbero allora tutti il loro interesse. «Correggere» le particolarità tattili potrebbe migliorare la percezione dei nostri pazienti, così come le loro capacità relazionali. Ora, i risultati degli studi che noi abbiamo presentato non ci permettono di confermare i benefici dei massaggi e delle altre terapie tattili. Degli sforzi devono essere fatti ancora per precisare il posto di questi approcci nella presa in carica globale dei nostri pazienti.
Tuttavia, se delle prese in carica complementari possono e devono essere considerate per diminuire il disagio sensoriale dei nostri pazienti, il rispetto di queste particolarità deve essere anche primario. Difatti, se la ricerca delle cause e delle terapie resta importante, la sfida al XXI° secolo dell’autismo, della psichiatria e dello psichiatra d’oggi si basa sull’integrazione dei pazienti nella nostra società. Questa deve darsi i mezzi di cambiare, di adattarsi, di avanzare. E per farlo, io penso che il nostro ruolo è certamente di trattare il paziente, ma soprattutto di fare accettare il soggetto, tale quale egli è di fronte a sé stesso e tale quale egli è di fronte agli altri.