Fino a non molto tempo fa, molti sostenevano che gli apprendimenti rappresentavano un mezzo capace di sfruttare il potenziale genetico dell’individuo. Per molto tempo si è creduto che le connessioni del cervello di un adulto, una volta stabilite, restavano pressappoco immutabili. Tuttalpiù si riusciva ad immaginare che delle piccole modifiche occasionali erano possibili quando si apprendeva qualcosa di nuovo, ma si sosteneva che, in quel caso, nel cervello non accadeva altro che alcune connessioni si rafforzavano mentre altre si indebolivano. In altri termini, i ricercatori sostenevano, fino a qualche decennio fa, che le strutture di base dei nostri cervelli e le relative connessioni neuronali fossero destinate a restare in uno stato abbastanza statico per la gran parte della durata della nostra vita (chi nasce tondo non può morire quadrato). Come spesso è accaduto, le storie di molti pazienti erano destinate a ribaltare le convinzioni dei tecnici. Infatti, le storie di molte persone cieche e sorde fecero non solo vacillare questi concetti ma, in pochi anni, fecero emergere le nostre conoscenze su una “proprietà biologica” fondamentale dei nostri cervelli: la neuroplasticità. Moltissimi ricercatori, con i loro studi, mettevano in evidenza che i cervelli di persone cieche o sorde si riorganizzavano per “trovare”, nonostante tutto, una utilizzazione di quelle aree cerebrali che non ricevevano più inputs dalle periferie. Si sapeva che, la maggior parte delle persone cieche, in effetti, lo sono a causa di un danno agli occhi oppure ai nervi ottici. Questo significa che le cortecce occipitali restano integre, ma non ricevono informazioni sensoriali visive. Se, come si pensava, le connessioni dentro al cervello fossero state stabilmente fissate (cervello/computer), le aree occipitali sarebbero rimaste per sempre inattive. Ma, oggi sappiamo che il cervello può modificare l’attività di alcuni dei suoi neuroni in modo che quelle aree possano abilitarsi in altre specializzazioni, in particolare con il tatto e l’udito sui quali i ciechi fanno maggiore affidamento. E’ così che, per leggere, le loro dita si spostano su caratteri stampati in braille, per cui il tatto sostituisce la vista. Mentre con il termine neuroplasticità, come ricordato sopra, si vuole indicare una “proprietà biologica” del Sistema Nervoso presente per tutta la vita dell’uomo, con il termine NEUROSVILUPPO si indica un “processo biologico” che inizia nella quarta settimana della vita gestazionale e termina nel diciottesimo anno di vita. In effetti, il neurosviluppo è un processo attraverso il quale il Sistema Nervoso dapprima si forma e, successivamente, si organizza per poter raggiungere, solo molti anni dopo, una maturazione strutturale e funzionale. Pertanto, occuparsi di neroplasticità significa voler comprendere le proprietà biologiche dei nostri neuroni, grazie alle quali per tutta la nostra vita possiamo apprendere. Invece, occuparsi di neurosviluppo significa che stiamo concentrando la nostra attenzione sull’ontogenesi. Stiamo cercando di comprendere cosa deve accadere nel cervello del cucciolo d’uomo, grazie alla neuroplaticità, per poter sviluppare, intorno ai tre anni, l’abilità di capire gli insegnamenti degli adulti come voce oggettiva della cultura che li informa di come noi facciamo le cose (Tomasello). Oppure, stiamo cercando di capire cosa deve succedere in un cervello di un bambino di 7/8 anni per iniziare ad essere ragionevole e responsabile. In termini neurofisiologici, stiamo cercando di conoscere come si sincronizzano i circuiti neuronali per garantire, nel corso dello sviluppo o ontogenesi, una supremazia dei circuiti inibitori su quelli eccitatori. Senza questo riequilibrio (alla nascita c’è una sproporzione a favore dei circuiti eccitatori) non potrebbe esserci nè educazione, nè cognizione. Quello che le neuroscienze, negli ultimi anni ci hanno mostrato, è che, prima ancora dell’educazione e della cognizione, il cucciolo d’uomo, nei primi due/tre anni di vita, deve imparare ad autoriconoscersi. Anche questa fase del neurosviluppo, fase sensori-motoria, è fondata su circuiti inibitori. Sono quei collegamenti che dai neuroni delle cortecce sensoriali danno proiezioni sul nucleo reticolare del talamo per inibire l’accesso di informazioni sensoriali in eccesso e perfezionare l’atto motorio. Solo grazie a questa inibizione, dopo i primi dieci mesi di vita, il cucciolo d’uomo seguirà un target visivo solo con il movimento degli occhi e non più con quello della testa. E’ per questo che l’autismo viene definito un disordine del neurosviluppo. Qualcuno ancora dubita che solo attraverso lo studio dei neuroni possiamo svelare i segreti del comportamento autistico.