Il nostro patrimonio genetico, con i suoi quarantamila geni, conferisce al nostro cervello i tratti universali che fanno di noi degli esseri umani. Allo stesso tempo, la formazione dei miliardi di milioni di sinapsi presenti nel cervello adulto sfugge al controllo assoluto dei geni. Per questo, lo sviluppo del nostro sistema nervoso viene considerato un processo evolutivo epigenetico
. Il termine “epigenetico” è composto da due radici greche: epi, che vuol dire “sopra” e genesis, che significa “nascita”.
Se “genesis” ha fornito il titolo del primo libro della Bibbia, quello della creazione, l’uso del termine “genetica” per indicare la scienza dell’eredità è molto recente (introdotto nel 1905 è stato adottato solo dal 1907).
Negli ultimi decenni, ogni qual volta si è parlato di neurosviluppo, il termine epigenetico è stato sempre più utilizzato poichè, le neuroscienze, hanno riconosciuto la sovrapposizione dell’apprendimento e dell’esperienza all’azione dei geni, nel processo di “sviluppo” dei nostri cervelli. Dagli anni ottanta del secolo scorso, definitivamente, abbiamo conosciuto che la rete cerebrale non si mette insieme come si costruisce un computer, con pezzi staccati e seguendo un progetto prefissato. Se così fosse stato, un errore anche minimo nella realizzazione di questo programma avrebbe conseguenze molto gravi. Invece, il modello epigenetico postula che le connessioni tra neuroni (sviluppo della rete) si instaurino progressivamente con un importante margine di variabilità e siano soggette a una selezione attraverso un gioco per tentativi ed errori.
Un’altra conquista di conoscenza, che merita la nostra attenzione, è stata quella che ci ha fatto conoscere cosa regola il processo di sviluppo (realizzazione della rete). Oggi sappiamo che è l’attività nervosa stessa (misurabile attraverso E.E.G.) che, investendo la rete nel corso dello sviluppo, ne regola la conformazione.
Abbiamo anche appreso che possediamo due fonti di attività nervosa, una spontanea ed un’altra evocata.
Molto presto, nel corso delle prime fasi dello sviluppo, un’attività spontanea intensa invade il sistema nervoso dell’embrione e del feto. Per molti ricercatori, da molti anni, questa scarica spontanea delle cellule nervose è parte integrante del funzionamento del cervello. Dopo la nascita a questa attività se ne aggiunge un’altra, evocata dall’interazione con il mondo esterno. Il ruolo di questa attività nervosa spontanea, fino a venti anni fa, ha suscitato varie controversie, facendo pendere il pendolo dalla “parte della genetica”. Nel 2000, alcuni ricercatori hanno generato nel topo un danno genetico che blocca selettivamente la secrezione di neurotrasmettitori (quindi di passaggio dei potenziali d’azione attraverso la sinapsi).L’embrione mutante è inevitabilmente immobile, ed i rari potenziali d’azione che si generano non possono circolare nella rete. Si vide che questi topolini, che morivano alla nascita, finché restavano in utero continuavano a sviluppare il loro cervello. La corteccia cerebrale con i suoi sei strati si formava ed un numero importante di sinapsi si stabiliva. Dunque, in assenza di attività delle sinapsi il cervello si assemblava. Ma questo assemblaggio non si manifestava sufficiente per il funzionamento. Appena edificato, l’assenza di attività nervosa nella rete generava fenomeni degenerativi con conseguente distruzione dell’organo appena costruito. L’attività spontanea dell’embrione non è quindi indispensabile alla morfogenesi globale del cervello ma è necessaria affinché si stabilizzino e si conservino le connessioni nervose sino all’età adulta. Pertanto, anche se un numero importante di strutture cerebrali sono preformate o innate, l’attività spontanea e/o evocata del sistema nervoso in corso di sviluppo è necessaria per lo sviluppo delle strutture stesse. I primi segni di neurodegenerazione si manifestavano nelle regioni formate più precocemente. Con altri studi, si è potuto vedere che nel corso dello sviluppo si assiste ad una diversificazione ridondante di contatti sinaptici, seguita da stabilizzazione selettiva di alcuni di questi contatti e dall’eliminazione degli altri. La gara di sopravvivenza la vince la terminazione che cattura il fattore retrogrado con maggiore efficacia. quelle che restano a bocca asciutta sono condannate a regredire.
Quello che vorrei ancora sottolineare è che, in epoca precoce si possono già distinguere i sei strati della corteccia cerebrale ed è interessante notare che gli strati V e VI, i più profondi, si depositano per primi, mentre i più superficiali, gli strati II e III, quelli che secondo la teoria del cervello autistico subiscono uno sviluppo disordinato nei disturbi dello spettro autistico, occupano la loro posizione definitiva solo successivamente.