Da qualche decennio le neuroscienze hanno definitivamente chiarito che il cervello è un sistema dinamico, che modifica costantemente i propri circuiti per rispondere alle caratteristiche dell’ambiente e alle capacità del corpo.
All’interno dei nostri cervelli, i collegamenti tra i neuroni fioriscono, muoiono e si riconfigurano senza sosta. In altri termini, il nostro cervello cambia continuamente.
Per tutto ciò, in questo preciso istante siamo un pochino diversi da come eravamo ieri e domani saremo ancora un pò diversi.
Le neuroscienze attuali ci hanno fatto comprendere anche altro, appagando quel nostro desiderio di conoscerci meglio.
Ad esempio, abbiamo appreso che veniamo al mondo con un cervello in gran parte immaturo (in termini organizzativi).
Di conseguenza, rispetto al resto del creato, siamo obbligati a vivere una lunga fase della nostra vita in cui non possiamo difenderci autonomamente (l’organizzazione del sistema è troppo complessa ed i geni sono troppo pochi).
E’ il prezzo da pagare (ampiamente retribuito da madre natura) perché il nostro cervello necessita di essere plasmato dalla “vita che scorre”.
Solo così ci è permesso di apprendere una lingua, le convenzioni, la politica, la religione, la morale.
Con altre parole, la nostra “immaturità neurologica alla nascita” ci permette di essere la specie che non solo genera la cultura, ma anche di consentire a quest’ultima di avere il tempo per “scolpire” il cervello e di modulare gli apprendimenti più della genetica.
Per questo, oggi affermiamo che venire al mondo con un cervello non organizzato e l’aver lasciato lo sviluppo della rete neurale all’interazione dell’organismo con il mondo, si è rivelata una strategia vincente. Almeno dalla nostra prospettiva.
Come possiamo sempre più facilmente comprendere, per il cervello il contesto è importante.
Appare scontato che il concetto di “liveware” o “oggetto cablato dal vivo” sta affascinando non poco la ricerca, al punto che si è giunti a sostenere che la magia del cervello non sta tanto nei neuroni o nella glia quanto nel modo in cui le cellule nervose si reintrecciano di continuo per formare un tessuto dinamico.
E’ per questo che la vita è entusiasmante non per ciò che siamo ma per ciò che via via diventiamo.
Appare ovvio che siamo arrivati a “conoscerci” fino a questo punto poiché nel secolo scorso si sono fatti importanti progressi nel settore.
Ad esempio, nel 1951 il neurochirurgo Penfield fece una scoperta sorprendente.
Inserendo la punta di un sottilissimo elettrodo nel cervello del paziente che stava operando scoprì che ogni punto di quel corpo era rappresentato in quel cervello. Inoltre, il neurochirurgo osservò che parti contigue di quel corpo erano rappresentate da punti contigui su quel cervello al punto da poter ricostruire l’intera figura umana chiamata, da Penfield, “homunculus” o piccolo uomo.
Poco dopo, in coerenza con quanto letto sopra, si vide che quando il corpo cambia anche l’homunculus cambia. Ovviamente, se l’homunculus cambia (ictus, tumore, disordine del neurosviluppo, ecc.) anche il corpo cambia.
Il tutto a dimostrazione che “interno ed esterno si rispecchiano” grazie all’elevata “flessibilità” della nostra corteccia cerebrale.
Proviamo a comprendere meglio questa magnifica conquista di conoscenza che “regola” il neurosviluppo umano.
I neuroni inviano repentini impulsi elettrici (spike). L’istante in cui inviano questi impulsi è di fondamentale importanza. Questo perché, se il neurone A manda uno spike, e subito dopo il neurone B ad esso collegato ne manda uno a sua volta, il legame tra di loro si consolida al punto che le neuroscienze sostengono: i neuroni che si attivano insieme rafforzano la loro connessione (questo principio biologico dovrebbe guidare tutte le proposte terapeutiche in ambito dei disordini del neurosviluppo).
In altri termini, è la sincronia a rafforzare la sinapsi.
Ritornando a Penfield, si comprende che dopo aver interagito per un lasso di tempo con l’ambiente esterno, le aree di pelle che risultano coattive si collegano una accanto all’altra mentre quelle non correlate tendono ad essere distanti tra di loro.
Pertanto, mesi ed anni di queste sincronizzazioni fanno sì che il cervello contiene una mappa del corpo.
Non è una questione filosofica (chi sono?) o prettamente biologica.
E’ una questione che riguarda NOI, oltre che la neuroeducazione, la neuropedagogia e, soprattutto, la neuro-abilitazione.
Infatti, alla fine del secolo scorso la ricerca, andando avanti, ha svelato anche cosa accade quando cambiano gli input provenienti dal corpo (cambia anche la mappa neuronale) e, soprattutto, ha aperto la strada verso il raggiungimento di un’altra conquista di conoscenza: cosa accade quando, in corso di neurosviluppo, si modifica primariamente la mappa neuronale (disordine del neurosviluppo).
Questo lo affronteremo nel prossimo articolo del blog “autismo fuori dagli schemi”.
Per comprendere al meglio ci lasceremo aiutare dalle ultime ipotesi fatte dai ricercatori sul ruolo svolto dai sogni nel processo di stabilizzazione delle aree sensoriali nei nostri cervelli.