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QUANDO L’ARTE CI AIUTA A CONOSCERE MEGLIO ANCHE L’AUTISMO

                          

Da qualche decennio i tecnici del settore, all’unanimità, concordano nel considerare l’autismo in età evolutiva un disordine del neurosviluppo ovvero concordano nel considerare i segni e i sintomi la conseguenza di uno sviluppo “disordinato della rete neurale” del cucciolo d’uomo.

 C’è un altro aspetto che, da qualche tempo, è stato evidenziato e che di recente trova sempre più consenso: i soggetti con autismo evolutivo manifestano problematiche sensoriali.

Chi ha esperienza con i bambini con disturbo dello spettro autistico conosce bene che molti comportamenti “tipici” di questi bambini (ruotare oggetti, rimarcare i contorni, oscillare le mani o un laccio davanti agli occhi, giocare con l’acqua che scorre, guardare senza sosta una lavatrice in funzione, “immobilizzarsi davanti ai video, ecc.) come anche molte loro abilità (ricordare una strada, riconoscere l’auto del papà tra mille auto, comporre puzzle, ricordare particolari, ecc.) sono riconducibili ad un disordine dello sviluppo del sistema visivo.

E’ per tutto questo che potrebbe essere utile conoscere quanto le neuroscienze ci stanno presentando a “proposito del nostro modo di vedere”.

Pertanto, intendo portare a conoscenza delle lettrici e lettori del blog “autismo fuori dagli schemi” quanto pubblicato dal professore Laurent Perrinet sulla rivista Cerveau e Psyco numero 168, settembre 2024, pag. 30,” Il mistero della Gioconda chiarito dalle neuroscienze”.

Partendo dall’osservazione che una particolarità della Gioconda sta nel fatto che il suo sguardo sembra seguire lo spettatore a mano a mano che si sposta davanti al capolavoro di Leonardo da Vinci mentre il suo sorriso sembra anche cambiare secondo l’angolo di vista, le neuroscienze si sono chieste come un’immagine statica possa rievocare una presenza dinamica comparabile a quelle che incontriamo nelle nostre attività quotidiane.

Dalla metà del secolo scorso, grazie ai lavori di Hubel e Wiesel, siamo venuti a conoscere che la corteccia visiva primaria (la prima area corticale che riceve informazioni provenienti dalla retina e modulate dal talamo) contiene neuroni sensibili all’orientamento degli stimoli visivi. In altri termini, abbiamo conosciuto che nella corteccia visiva primaria vi sono neuroni che rispondono ad uno stimolo che contiene un contorno di un orientamento preciso e non rispondono agli altri orientamenti.

Quando guardiamo un quadro, che può essere considerato un accostamento di piccole pennellate delle quali ognuna possiede un orientamento elementare, questi neuroni ci aiutano a ricostruire l’immagine.

Quando guardiamo la Gioconda (grazie alla genialità di Leonardo), come anche nella vita reale (specialmente nelle foreste), il cervello deve percepire zone dove non ci sono dei contorni chiaramente interrotti e, pertanto, questi neuroni specializzati in un orientamento molto preciso non si mostrano sufficienti per lo sviluppo delle nostre capacità visive. In altri termini, se la nostra corteccia cerebrale, nell’area occipitale o visiva, fosse provvista solo di questa categoria di neuroni visivi, davanti a strutture disordinate, sfumate o complesse (come i contesti come le foreste), la vista non ci avrebbe aiutato nella sopravvivenza poiché avrebbe fallito nell’astrarre informazioni utili per quell’organismo.

Pertanto, appare chiaro che accanto ai neuroni specializzati nella percezione (astrazione di informazioni) di linee molto definite ovvero i neuroni scoperti da Hubel e Wiesel sono presenti nella nostra corteccia visiva neuroni che si attivano in risposta ad una gamma più larga di orientamenti.

Le neuroscienze definiscono neuroni vulnerabili all’incertezza i primi e neuroni resilienti all’incertezza i secondi (più antichi filogeneticamente e che sviluppano prima nell’ontogenesi).

Questi neuroni resilienti all’incertezza sono localizzati essenzialmente nello strato più esterno della corteccia visiva, lo strato sopra-granulare.

Nel suo articolo, il professore Perrinet ci stuzzica scrivendo che, a ben pensarci dalla mattina alla sera ci troviamo a vivere in un contesto fatto per lo più di contorni nitidi e definiti. L’ambiente costruito dall’uomo moderno è rivestito di superficie piane, di angoli retti, di contorni rettilinei. Di certo, questi stimoli sensoriali attivano i nostri neuroni di orientamento puro, quelli vulnerabili all’incertezza, conosciuti nella metà del secolo scorso.

Allo stesso tempo è bene pensare che, per la maggior parte del tempo, i nostri antenati sono dovuti sopravvivere in ambienti visivi che non comportavano solo linee di frattura molto regolari. Milioni di foglie o di fili d’erba formano delle tessiture senza un orientamento dominante che poco stimolano questi neuroni di orientamento puro. Ecco il perché era necessario e lo è ancora, altrimenti non potremmo percepire la Gioconda come vivente, possedere neuroni vulnerabili all’incertezza per poter sopravvivere.

Ovviamente, questi due sistemi, evolutivamente separati, nel corso del neurosviluppo si organizzano e si integrano. Qualora questo processo di sviluppo dovesse essere “disordinato”, per astrarre informazioni visive utili dal suo ambiente, il cucciolo d’uomo comincia a generare comportamenti atipici.

L’osservatore potrebbe etichettarlo autistico e non chiedersi quale processo biologico genera quei comportamenti così bizzarri.

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