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Un’ipotesi neurobiologica evolutiva

“Uscire dagli schemi” significa che, qualora vogliamo spiegare cosa fare per un bambino che manifesta un compromettente deficit dello sviluppo del linguaggio,  non possiamo partire dal linguaggio. Bisogna necessariamente partire dalla comunicazione non convenzionalizzata e non codificata, e da altre forme di sintonizzazione mentale, i cui candidati più accreditati sono i gesti naturali, quali l’additare ed il mimare.

E’, a noi tutti noto che, gli uomini trovano naturali gesti come l’indicare ed il mimare. Già gli infanti prelinguistici usano e comprendono l’indicare con il dito. Allo stesso tempo, gli esseri umani, in luoghi affollati e rumorosi (noi napoletani anche in ambiente standard) comunicano con gesti. Inoltre, la gesticolazione veicola informazioni non trasmissibili dal linguaggio verbale ( ad es. come è fatta una scala a chiocciola?). Il gesto, a differenza dei vocalizzi delle scimmie, viene prodotto solo quando il ricevente presta attenzione, inoltre, chi lo produce, segue la reazione del ricevente e attende una risposta. Invece, come abbiamo ricordato nel precedente articolo, i vocalizzi sono emessi con scarsa attenzione ai potenziali riceventi. Dunque, fu fondamentale l’aver liberato gli arti superiori dalla funzione di locomozione, per destinarli ad un nuovo uso, quale quello di raccogliere il cibo e probabilmente di spaccare con sassi gusci di frutta secca e di molluschi. Allo stesso tempo, grazie a quanto di nuovo veniva esperito e, soprattutto, grazie alla vita di gruppo (cooperazione), si raggiungevano livelli sempre più elevati di complessità (neurostati) che, a loro volta, garantivano ulteriori progressi o abilità (psicostati). Chiari segni di progressi furono: 1) la nascita di strumenti in pietra realizzati per procurarsi cibo ovvero, il seme di quello che in futuro saranno le regole del linguaggio o grammatica 2)  la nascita del terreno comune ovvero, il superamento da parte dell’uomo della prospettiva egocentrica (socialmente rappresentata dalla vita di gruppo, linguisticamente dai tempi dettati dalla comunicazione: tu parli io sto zitto). In merito a quanto riportato negli ultimi articoli, ci sentiamo di condividere l’ipotesi secondo la quale, il linguaggio verbale si sia evoluto in un contesto di attività di collaborazione, coordinate da forme naturali di comunicazione gestuale, in cui i partecipanti condividevano attenzione ed intenzioni. Il linguaggio verbale sembra aver “sfruttato” il grosso vantaggio adattivo arrecato ai nostri progenitori dall’attività cooperativa e collaborativa, basata su intenzioni ed attenzione congiunta.

Altro che modulo del linguaggio!

Come più volte scritto è l’intero cervello che partecipa all’ acquisizione del linguaggio. Grazie all’integrazione delle informazioni sensori-motorie provenienti dalle modalità sensoriali specifiche (ipotesi del bootstrap neuronale di Ramachandran) abbiamo acquisito capacità astrattive superiori (concetti acquisiti di Zeki) per cui un’informazione visiva, integrata alla funzione propriocettiva (capacità di articolare l’organo foniatrico) diviene astrazione uditiva, ed emettiamo parole. Successivamente, grazie al controllo dei circuiti neurali anteriori sulle aree dell’emotività e grazie all’integrazione di questi circuiti frontali con le aree associative posteriori, il linguaggio verbale si sviluppa. A questo punto, favorito dalla diversa specializzazione delle mani utilizzate dall’uomo per costruire arnesi e per cacciare, anche il linguaggio verbale trova la sua specializzazione emisferica o lateralità.

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