Negli articoli precedenti, più volte abbiamo ribadito come, sovente, il linguaggio sia stato considerato un “epifenomeno” che, come dono ricevuto, non richiedeva una spiegazione ontogenetica. Eppure l’uomo sviluppa l’abilità del parlare in un lungo periodo della sua vita. Infatti, un bambino emette le sue prime parole intorno ai 18 mesi e, sei mesi dopo, ha un vocabolario di circa cinquanta parole, abbozzando i suoi primi discorsi. Dai 24 ai 36 mesi impara quotidianamente nuove parole, per poter utilizzare a tre anni circa mille vocaboli. A sei anni, il bambino vissuto in un ambiente stimolante, usa e capisce circa 13.000 parole; il suo vocabolario cresce quotidianamente di altre quattro volte fino ai 18 anni. Cosa ancora più importante è che apprende le regole (sintassi), rendendo il linguaggio “generativo” come il pensiero. Per fortuna, negli ultimi due decenni, la biologia evolutiva ha posto il linguaggio sotto il proprio microscopio.
Il linguaggio è un’abilità umana “selezionatasi” nel corso dell’evoluzione, grazie ad adattamenti del corpo, oltre che della circuiteria neurale. L’uomo, unica specie sul pianeta, possiede un apparato foniatrico in grado di produrre i suoni necessari per parlare. Infatti, egli possiede una laringe situata in profondità, capace di fornire una grande camera di risonanza nella parte posteriore del naso e della bocca, oltre ad un controllo accurato delle corde vocali, che agiscono come vibratori. Inoltre, il linguaggio richiede un controllo motorio sofisticatissimo (fine propriocezione) delle labbra, della lingua, delle corde vocali, e del torace, i cui movimenti devono rispettare una sequenza tale da consentire la produzione di specifici suoni. Da non dimenticare che, il linguaggio verbale richiede un preciso controllo della respirazione, garantito anche dalla forma del torace umano, che è appiattito e non appuntito. Nonostante tutto questo, è ipotesi valida quella che sostiene che, non avremmo sviluppato l’abilità di parlare qualora, nel corso dell’evoluzione, la nostra scapola non si fosse spostata sulla parte dorsale del nostro torace (nelle scimmie è ancora laterale). Grazie a tale spostamento scapolare abbiamo portato il braccio sul margine esterno del torace e, dunque, siamo gli unici a ruotare le braccia ed a godere della possibilità di effettuare il lancio preciso di oggetti.
Il lancio di precisione fu, in origine, importante per cacciare. Esso richiede un circuito corticale estremamente organizzato, ove informazioni altamente differenziate si integrano (vista, propriocezione, motricità fine, controllo dell’emotività, ecc.). Inoltre, il lancio di precisione richiede che l’occhio e la mano di un emisoma facciano qualcosa di diverso dai movimenti dell’ occhio e della mano controlaterale. Senza specializzazione emisferica non sviluppiamo, ontogeneticamente, il linguaggio.