Sottoponendo le ipotesi sulle origini del linguaggio ad un approccio neurobiologico evolutivo ovvero, biocognitivo, emerge che, i mutamenti nell’organo foniatrico, cioè nel tratto vocale, nell’innervazione della lingua, nel controllo del respiro, furono necessari ma non sufficienti, per la comparsa della comunicazione verbale per emettere parole dobbiamo “sincronizzare” con precisione la produzione del suono e , dunque, i movimenti della lingua e delle labbra. Per parlare, nel senso reale del termine, dobbiamo organizzare ulteriori strutture cerebrali capaci di “controllare la percezione”, al fine di consentire di dire ciò di cui vogliamo parlare. Per il raggiungimento di tale fine è necessaria un’organizzazione neurologica estremamente complessa, selezionatasi nel corso dello sviluppo filogenetico e richiedente una selezione esperienziale capace di favorire un corretto sviluppo ontogenetico. Tale processo di Organizzazione Neurologica coinvolge un’infinità di circuiti neurali ampiamente distribuiti nel nostro S.N.C. , i quali entreranno in funzione in tempi diversi andando gradualmente a modificare il “neurotipo-linguaggio”. Allo stesso tempo il possessore di quel S.N. vedrà modificarsi le proprie abilità linguistiche passando da una lallazione , alla pronuncia di parole, fino alla capacità di produrre, oltre che di comprendere lunghissimi enunciati.
Dunque, non esiste un organo del linguaggio.
In base all’età ed in base al tipo di linguaggio espresso (dalla lallazione alla comprensione delle barzellette) aree differenti del cervello umano si appropriano del controllo della funzione del linguaggio , sia a livello corticale che sottocorticale (nuclei della base), o addirittura (contro ogni credenza cognitiva) del tronco cerebrale. Infatti, se la natura non ci avesse consentito l’evoluzione nei nostri cervelli ( nel midollo allungato) di generatori del ritmo capaci di garantire ritmi di ogni genere ( da quello del respiro a quello delle poppate e poi del cammino, etc), non si sarebbe evoluto il ritmo del discorso.
Un’idea che affascina sempre di più è quella che considera il linguaggio quale abilità sviluppatasi, in modo molto graduale, dapprima con i gesti e , successivamente, dopo lo sviluppo di una sintassi ( necessaria per la costruzione di utensili), con un ruolo sempre maggiore affidato alle vocalizzazioni. Di sicuro l’acquisizione del linguaggio vocale autonomo ebbe il grande vantaggio di liberare le mani e, dunque, rendere disponibili tutte le potenzialità necessarie per costruire materiali oltre che, per trasmettere informazioni ( cultura).
Quello che non deve essere mai dimenticato è che il linguaggio, ovvero un’invenzione strutturata dalle relazioni sociali, è reso possibile dalle capacità biologiche di cui dispone l’individuo.
Il fatto che imparare a parlare ed a capire le parole pronunciate da altri sia talmente facile e naturale , al punto che non ricordiamo neanche come sia successo, non significa che il linguaggio non richieda un coinvolgimento di tutto il sistema nervoso umano.
Il compito del tecnico è definire il tipo di diversa abilità verbale sviluppatasi nel bambino in oggetto e, dunque, stabilire DOVE in quel sistema nervoso la PHI , ovvero l’organizzazione neurologica, è alterata. Tale diagnosi (sede della lesione) sarà molto più utile, al fine di stabilire il trattamento riabilitativo, che non la superficiale ed anacronistica diagnosi di ritardo dello sviluppo del linguaggio.