Quando iniziare le terapie abilitative per l’autismo

Non vi è alcun dubbio che i bambini più piccoli, sottoposti al processo di apprendimento, spesso progrediscono più rapidamente degli adolescenti e degli adulti. Tale maggiore velocità di apprendimento sembra legata al maggior numero di connessioni neuronali o sinapsi presenti nel cervello nelle prime fasi della vita. E’ il processo di apprendimento stesso che seleziona le sinapsi, per cui un cervello adolescenziale ha subito una “potatura” rispetto a quello dell’infante, con i susseguenti neurostati che vanno a specificare gli psicostati che quel soggetto esprime. L’esperienza, in ultima analisi, seleziona sinapsi e circuiti secondo la regola “usalo o lo perderai”. Nell’uomo le indagini post-mortem hanno mostrato che l’educazione aumenta le connessioni interneuronali. Un soggetto sottoposto a costante processo di “apprendimento” durante la vita presenta, nel suo cervello, cellule nervose dotate di un maggior numero di dendriti, i quali, a loro volta, aumentano la distanza tra i neuroni, determinando così l’aumento del volume e della densità del cervello. Come ho ricordato nel precedente articolo, questo processo denominato neuroplasticità riguarda anche l’età adulta e , soprattutto, i soggetti con autismo. Infatti, uno degli errori commessi in un passato, anche recente, dalle scienze neurocognitive, è stato quello di pensare al cervello come ad un contenitore che riempiamo con ciò che apprendiamo. Le stesse neuroimmaging, mostrando che in un bambino bilingue tutti i suoni di entrambe le lingue condividono un’unica grande mappa, avevano rafforzato la metafora del cervello contenitore. Eppure, chi ha esperienza con un bambino con autismo, conosce molto bene quanto sia difficile eliminare o far “disapprendere” le cattive abitudini. Secondo la teoria del cervello contenitore, la soluzione per interrompere una rigidità comportamentale o, ancor più, una stereotipia, dovrebbe consistere nel mettere qualcos’altro nel cervello/contenitore. Secondo il modello apprendimento basato sulla neuroplasticità, “un’abitudine negativa” sta a significare che, sotto la spinta selettiva ambientale (esperienza), un circuito neurale si è selezionato e, attivandosi, determina la “cattiva abitudine”(psicostato anomalo). Tale comportamento, più viene espresso dall’individuo, più il suo neurostato guadagnerà un controllo maggiore sulla restante circuiteria neuronale, impedendo che quello spazio venga occupato da “neurostati positivi”. Tutti conosciamo i risvolti esperienziali di questa proprietà biologica che regola i nostri apprendimenti: disapprendere è più difficile che imparare.