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L’altro aspetto della neuroplasticità: il fantasma.

“Io dico ai miei studenti, quando andate ad un convegno scientifico, guardate in che direzione vanno tutti, così potete andare nella direzione opposta. Non sprecate il vostro tempo seguendo la massa” Ramachandran

Il nostro cervello obbedisce al principio “usalo o lo perderai” pertanto, quando si sviluppa una mappa neuronale, questa più sarà attiva e, dunque, specificherà quel particolare neurostato, più si evidenzierà quel particolare comportamento o psicostato. La plasticità si presenta competitiva ovvero, più le mappe neuronali si attivano più si espandono a discapito di quelle meno utilizzate. Quando una determinata circuiteria neuronale, in seguito alla selezione esperienziale, vede imporre la propria “supremazia” su altre mappe neuronali, si osserva ciò che viene etichettato come “abitudine comportamentale”, buona o cattiva che sia. E’ così, che una postura sbagliata, una volta sviluppatasi, diviene difficile da correggere, allo stesso tempo, un’abilità adattiva si consolida con la ripetizione.

Merzenich, uno dei pionieri dello studio della neuroplasticità, mostra che quando viene interrotto l’input sensoriale proveniente da un dito della mano, i cambiamenti nella mappa cerebrale si verificano tipicamente in un’area di corteccia cerebrale dell’ampiezza di 1-2 millimetri. Le neuroscienze ritengono che la spiegazione di tale cambiamento plastico vada ricercata nella crescita dendritica. I neuroni adiacenti a quelli che non ricevono più segnali dalla periferia vedono crescere i propri dendriti di qualche millimetro, al fine di compensare la perdita. Recentemente le neuroscienze hanno appurato che il cambiamento neuroplastico non è limitato esclusivamente alla popolazione di neuroni adiacenti alla lesione. Quando una mappa neuronale non viene utilizzata, indipendentemente dalla genesi centrale o periferica, il cervello può riorganizzarsi in modo che un altro circuito neuronale, anche distante, assumerà il controllo, con un neurostato del tutto nuovo e, dunque, con un’abilità nuova.

Ci sono persone che, in seguito ad un incidente o ad un attacco, hanno perso un arto. A distanza di tempo possono provare dolore e/0 prurito a quell’arto. Se lo possono “sentire”, anche se non lo possono vedere. Per la medicina, il “fantasma” veniva spiegato come la negazione della perdita dolorosa di un arto. Secondo un’altra scuola di pensiero (meno dinamica), il movimento irritava le terminazioni nervose situate sul moncherino dell’arto amputato pertanto, la proposta terapeutica consisteva in una ulteriore riduzione chirurgica. Ramachandran intuì, e successivamente confermò, che la neuroplasticità avrebbe potuto spiegare questo fastidioso, quanto bizzarro, fenomeno. Grazie al suo intuito ed alle sue osservazioni cliniche, con relative proposte neuroriabilitative, siamo venuti a conoscenza che, mappe neuronali, anche distanti, si ricablano. Nel caso specifico (arto fantasma), le mappe neuronali della corteccia somato-sensoriale rappresentanti l’arto amputato, private dagli stimoli provenienti dalla periferia tattile, erano state “invase” dalle mappe neuronali relative al volto, in modo che, quando veniva toccato il volto del paziente, questi avvertiva la presenza dell’arto fantasma. Chi, come me si occupa di autismo, deve costantemente considerare come le medesime proprietà neuroplastiche, che ci permettono di modificare e magari di abilitare il cervello al fine di produrre comportamenti più adattivi, conducono anche a comportamenti più “rigidi”.

Gli arti fantasmi, per quanto fastidiosi, sono l’evidenza scientifica che il cervello, costantemente, ed in qualunque condizione, si riorganizza. La domanda sorge spontanea PERCHE’ LA NEURORIABILITAZIONE RESTA, TUTTORA, AI MARGINI DELLE NEUROSCIENZE?

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